Beni confiscati, Riela cessa le attività lunedì «Stato sconfitto nell’anniversario di La Torre»

«Il 30 aprile è l’anniversario della morte di Pio La Torre. Non potevano scegliere un giorno con un significato peggiore per chiuderci». Per Mario Di Marco, il direttore tecnico del Gruppo Riela, la società di trasporti e di distribuzione merci confiscata nel 1999 alla famiglia Riela, affiliata al clan Santapaola, la concomitanza della messa in liquidazione dell’azienda con il 30° anniversario dell’omicidio del promotore della norma che prevede la confisca dei beni ai mafiosi è un segnale emblematico della sconfitta dello Stato. La chiusura della Riela per lui e i suoi colleghi vuol dire mortificare l’attività di chi ha permesso che quella legge venisse applicata. «Falcone e Borsellino ci hanno difeso dai mafiosi, ora chi ci difende dall’antimafia? – si chiede Di Marco – Perché la mafia non si combatte a parole. I mafiosi – aggiunge – hanno beni per milioni e milioni di euro e se confischiamo i loro immobili se ne comprano altri. Dobbiamo far funzionare le aziende per dimostrare che non vincono loro».

E invece la società di Piano Tavola, nella zona industriale di Belpasso, che nell’anno della confisca era una delle più floride aziende della Sicilia, chiuderà i battenti lasciando senza lavoro 23 dipendenti. Rientrando così nell’alta percentuale di aziende – il 90 per cento – che falliscono dopo essere state tolte ai proprietari.

Il declino cominciò dieci anni fa, quando gli ex proprietari cercarono di riappropriarsi del business di famiglia, fondando un nuovo consorzio, Se.Tra. Service: per cause ancora non chiare in breve tempo è diventato il principale creditore della Riela. Oggi l’iter verso il baratro si conclude con la decisione dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di mettere l’azienda in liquidazione. «Nonostante sforzi e finanziamenti Riela non riesce a stare sul mercato». Il prefetto Giuseppe Caruso, il direttore dell’Agenzia, quella decisione l’ha giustificata così. Per i dipendenti, invece, nessuno sforzo è stato fatto e in un mercato come quello dei trasporti, ad alto interesse criminale, lo Stato «non doveva seguire la logica ragionieristica degli utili economici, ma di quelli sociali e culturali», precisa Di Marco.

Tra i lavoratori Riela, che hanno un’età media di 50 anni, il direttore tecnico Di Marco è il più anziano, l’unico a pochi anni dalla pensione. Ex dipendente Cesame è stato selezionato da Italia Lavoro e assunto alla Riela dal dirigente nominato dall’Agenzia del demanio per amministrarla cinque anni fa. «Non si può neanche dire che siamo ex dipendenti di mafiosi e che ci vogliamo marciare – dice – Io ho accettato il posto alla fine della mia carriera per fare una scommessa con me stesso. In questi anni abbiamo fatturato 8 milioni di euro e nessuno ci ha dato una mano». Prima di gennaio, mese dell’annuncio della sospensione delle attività in vista della messa in liquidazione, l’azienda fatturava dai 130 ai 150mila euro al mese con picchi di 180-200 mila euro. «Adesso non arriviamo neanche a 50mila», rivela Di Marco.

Da quattro mesi i lavoratori della Riela finanziano l’azienda rinunciando allo stipendio. «È una scelta consapevole – dice il direttore tecnico – Noi siamo orgogliosi di lavorare per un’azienda confiscata. Nonostante tutto». Nonostante sugli stipendi arretrati dall’Agenzia nazionale abbiano fatto sapere che pagheranno solo quando venderanno e incasseranno il ricavato relativo ai cespiti. «Neanche i peggiori criminali fanno così – si sfoga Di Marco – Il risultato è che i dipendenti, che hanno creduto nello Stato e nella legalità vengono mandati a casa a pedate, mentre verrà pagato chi vanta crediti – tra cui il consorzio Se.Tra perché nulla è stato bloccato per legge – e quindi i soldi saranno restituiti agli stessi mafiosi».

Quello che colpisce e che viene denunciato dai dipendenti è l’immobilità e la mancanza di iniziativa di chi avrebbe dovuto amministrare la società, oltre che controllarla. Di recente, e dopo la decisione dell’Agenzia nazionale, hanno ricevuto la richiesta di una commessa da 4 milioni di euro l’anno da un’azienda che distribuisce forniture per i presidi sanitari per incontinenti e diabetici che vuole avere un supporto logistico a Catania. Quella commessa avrebbe voluto dire almeno 40 nuove assunzioni, secondo il direttore, e invece nessuno degli organi preposti ha risposto. «L’abbiamo portata in Prefettura ma abbiamo ricevuto solo silenzio», racconta. Quel silenzio rotto, secondo Di Marco, solo durante le conferenze sull’antimafia «che però non bastano». «Da noi sono passati tutti, da Confindustria al Consorzio Comuni per la legalità, ma poi concretamente non li abbiamo più visti». Chi trasporta i prodotti dell’azienda di Ivan Lo Bello, chi quelli di Libera Terra? Perché non è la Riela che ha tutte le carte in regola? Si chiede Di Marco e lamenta il fatto che l’azienda non sia stata inserita in nessun albo fornitori delle istituzioni. «Abbiamo un’officina in cui, nonostante l’impegno del prefetto Giovanni Finazzo di farla usare alle forze dell’ordine – dice – non è mai stata gonfiata neanche una ruota dei carabinieri».

Quello che è mancato all’azienda, che ha ancora 80 automezzi funzionanti anche se obsoleti, è soprattutto l’attività di un imprenditore. «In questi anni non c’è traccia di un solo investimento», dice Di Marco. Per lui lo Stato perde ed è colpevole della sua sconfitta perché non ha la cultura e la capacità. «Perché è burocrate e invece ci vogliono manager – spiega – Ogni volta che ho una proposta per l’amministratore finanziario (Alessandro Scimeca, nominato dall’Agenzia del Demanio, ndr) mi risponde di mandargli una mail perché deve farsi autorizzare e così passano sei mesi. Invece, nelle aziende si devono prendere decisioni, spesso vitali, velocemente».

I dipendenti Riela non hanno intenzione di rimanere in silenzio e annunciano manifestazioni a partire da lunedì stesso. «Per convocare la stampa e far conoscere la nostra storia alla società civile», spiegano. «Gli 80 automezzi li vado a parcheggiare tutti in prefettura», dice Di Marco con il tono della rabbia forte ma controllata. Per loro non è ancora finita. Le soluzioni le hanno, ma nessuno sembra ascoltarli. Innanzitutto riprendere le commesse, mettersi in contatto con il Consip per entrare nell’albo fornitori delle istituzioni e venire inseriti nella logistica di Stato. Propongono di mettere in rete le aziende confiscate e gestirle con una logica di impresa. «Se un supermercato Despar è sotto sequestro perché non si deve utilizzare la Riela per i suoi trasporti?», domanda quasi retoricamente Di Marco. E conclude: «Cose da fare ce ne sono una miriade, basta solo volerlo. Se non verranno fatte, purtroppo vorrà dire che lo Stato ha perso e che comanda un altro Stato. Ed è questo che dovrò insegnare a mio figlio».

[Foto di ori0n]

Agata Pasqualino

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