Beni confiscati, poca trasparenza dai Comuni Confcoop: «Chiediamo liste pubbliche»

Di beni confiscati alla mafia se ne parla sempre più spesso, come della loro possibile assegnazione ad associazioni no profit che ne facciano richiesta. Ma qual è il’iter da seguire per ottenerlo? Come fare a capire quali beni immobili confiscati in via definitiva non sono ancora stati assegnati? Per rispondere a queste domande Confcooperative Catania e l’associazione contro le mafie Libera hanno organizzato un incontro al centro culturale Zo ieri pomeriggio. Lo scopo è «fare chiarezza su un tema delicato e di grande interesse per la cooperazione sociale».

Si è quindi fatto un excursus legislativo in ambito antimafioso cominciando dalla prima legge, nel 1965, passando per quella del 96 per l’utilizzo sociale dei beni confiscati (nata grazie alla spinta data da un milione di firme raccolte proprio dall’associazione Libera), per arrivare a quella istitutiva dell’Agenzia nazione per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati che si occupa di tutto ciò che viene sottratto ai mafiosi. Prima sequestrato e poi confiscato.

Chi si occupa dell’assegnazione dei beni immobili però non è l’agenzia nazionale. La responsabilità ricade tutta sugli enti locali, i Comuni cioè. Sono loro che infatti dovrebbero predisporre delle liste pubbliche di tutti i beni confiscati non assegnati e quindi provvedere a indire dei bandi pubblici specificando le caratteristiche del bene e i criteri di partecipazione per gli enti no profit. Il singolo cittadino o i privati, infatti, non possono essere assegnatari di alcun bene sequestrato alla mafia. Anche perché l’assegnazione è gratuita e di solito per dieci anni. A Catania uno di quelli assegnati è stato dato alle associazioni Libera e Addio Pizzo.

Una prassi semplice in apparenza, ma difficile nella realtà. Moltissimi comuni, compreso quello etneo infatti, non hanno la lista di beni confiscati non assegnati e comunque non è pubblica. Pochissimi poi, sono i bandi fatti fino ad oggi a Catania. «Quando abbiamo richiesto la lista dei beni, il Comune ci ha fornito solo quella dei beni già assegnati», dice Maria Luisa Berrera, portavoce dell’officina per i beni confiscati di Libera e relatrice della giornata. «Non ci sono molti esempi di beni assegnati ad associazioni, la maggior parte sono dati ai carabinieri», aggiunge.

L’associazione invita dunque gli enti interessati, ma anche i singoli cittadini «che in quanto tali hanno il diritto di sapere che fine fanno questi beni i quali, una volta confiscati, appartengono alla cosa pubblica», afferma Barrera, a fare una richiesta specifica al Comune. «Perché tutti insieme possiamo fare di più», spiega. Una proposta ben accolta dal presidente di Confcooperative Gaetano Mancini. «Manderemo domani mattina (oggi per chi legge, ndr) una richiesta ufficiale a tutti i Comuni – promette – Un gesto semplice, ma molto importante».

Ancora più difficile è l’assegnazione delle aziende confiscate, che comunque spesso soffrono di mancanza di liquidità e di una giusta gestione imprenditoriale da parte degli amministratori dello Stato per cui vengono chiuse. «Le banche improvvisamente si tirano indietro – spiega ancora Maria Luisa Barrera. – Così passa il messaggio che fino a quando la gestione è in mano mafiosa l’azienda è florida, quando la prende in mano lo Stato muore. E questo è un male».

Non tutte sono destinate al fallimento, «ci sono esempi positivi come il lido dei Ciplopi di Acitrezza», dice ancora Barrera, ma spesso si tratta di grandi strutture che magari necessitano anche di interventi dispendiosi che i piccoli privati non possono permettersi. Anche per questo la soluzione auspicata dalla rappresentante di Libera sta nell’unità. Dello stesso avviso Mancini che, per ciò che concerne la ricerca di fondi, crede che l’Unione europea potrebbe essere d’aiuto. «Spingeremo perché nel programma comunitario 2014-2020 ci sia un sostegno più concreto», conclude.

desireemiranda

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