Beni confiscati, 116 tra associazione e coop L’impresa del boss Virga rinata grazie al riciclo

«I beni confiscati compiono il loro percorso quando diventano beni comuni e iniziano a generare risorse, non solo economiche, per il territorio». Queste le parole di Tatiana Giannone che, insieme a Riccardo Christian Falcone e Francesco Iandolo, ha curato il rapporto BeneItalia. Promosso dall’associazione Libera e finanziato dalla Fondazione italiana Charlemagne, è stato presentato ieri a Roma alla casa del jazz – bene confiscato al boss della banda della Magliana Enrico Nicoletti – e prende in esame solo le realtà gestite da realtà del privato sociale. 

Con 116 soggetti diversi fra associazioni e cooperative sociali che gestiscono beni confiscati alle mafie, la Sicilia è seconda solo alla Lombardia. Da quando, il 7 marzo del 1996, dopo oltre un milione di firme raccolte da Libera fra i cittadini, è stata approvata la legge 109/96 sull’uso sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, le difficoltà non sono mancate: pessime condizioni strutturali del bene all’atto dell’affidamento al soggetto gestore e tempi troppo lunghi, in media dieci anni, fra il sequestro del bene e il suo effettivo e concreto riutilizzo sociale.

Eppure, nel Trapanese c’è una impresa edile, la Calcestruzzi Ericina Libera, che è uno degli esempi migliori di buone pratiche di aziende confiscate. Di proprietà del boss Vincenzo Virga, capomandamento di Trapani e intermediario tra la vecchia mafia di Bernardo Provenzano e la nuova di Matteo Messina Denaro, la Calcestruzzi Ericina viene sequestrata nel 1996 e confiscata definitivamente nel 2000. In un primo periodo riesce a mantenere costanti gli standard produttivi e i livelli occupazionali. Questo fino al 2001 quando, in coincidenza con l’arresto di Virga, le commesse iniziano a diminuire e si verificano diversi tentativi di far fallire la Calcestruzzi da parte del potere mafioso intenzionato a ricomprarla poi a prezzi stracciati.

«Era il 2004 quando abbiamo iniziato a ragionare su che fine dovesse fare l’azienda – spiega a Meridionews Giacomo Messina, presidente e socio fondatore della cooperativa formata da sei ex lavoratori dell’azienda – e abbiamo deciso di fare squadra fra noi anche se, almeno all’inizio, non è stato facile creare il senso della cooperativa fra chi prima era solo collega». 

Presentata ufficialmente il 9 febbraio del 2009, la Calcestruzzi Ericina Libera era una azienda «fatiscente e superata dal punto di vista strutturale e delle norme di produzione del cemento armato». La prima importante commessa arriva con le forniture per il torneo internazionale di vela America’s Cup, dal valore di 4 milioni di euro. «La nostra prima scommessa – sottolinea Messina – è stata ristrutturare e rivalutare un bene che rimane di proprietà dello Stato». Negli ultimi anni, grazie alla collaborazione con Legambiente, la cooperativa, che conta 13 dipendenti di cui sette soci, è riuscita a sviluppare anche una nuova filiera produttiva: il riciclo dei rifiuti edili. «Materiali di scarto che, se va bene, sono destinati a finire in discarica, altrimenti disseminati nel territorio a inquinare l’ambiente e invece noi riusciamo a trasformarli in risorse».

Le aziende confiscate sono un nuovo valore per l’economia e la Sicilia è la regione che ha il valore più alto. «Spesso, però – denuncia il presidente della Calcestruzzi Ericina Libera – ci troviamo a dover fare i conti con l’illegalità diffusa e la mancanza di controllo sul territorio. Ci mettiamo sul mercato pagando il costo della legalità che altri non sostengono. Intorno a un bene confiscato, che sia una casa, un terreno o una azienda – conclude – si deve creare un noi, una sinergia fra le istituzioni e la società civile, tenendo conto del fatto che si sta producendo legalità sul territorio».

L’obiettivo della ricerca BeneItalia – Economia, welfare, cultura, etica: la generazione di valori nell’uso sociale dei beni confiscati alle mafie è stato quello di censire queste esperienze per definirne l’iter burocratico e amministrativo, le risorse impegnate e le esigenze per valutare le capacità di produrre valore, non solo in termini economici, ma anche di volontariato, occupazione creata, servizi resi alla comunità, attività educative e di formazione.

Marta Silvestre

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