Before and after dinner: piatto unico per i Rosolina Mar

ROSOLINA MAR

BEFORE AND AFTER DINNER

2005

Wallace/Robotradio

Pronti su via. L’intro fantasma di “Domenica mattina e la Benedizione dei trattori”, affidato a una mucca e a qualche grassa risata, apre il ritorno dei Rosolina Mar.

 

 

Before and after dinner è un album deciso. Mai un’esitazione, mai un incertezza. I veronesi dalle chitarre facili modellano, come fosse argilla, il loro rock dai bordi rotondi e non si stancano di lavorarlo fino a far scricchiolare le mani. La track numero 2 “Protopapetti” è il perfetto esempio di materiale grezzo da lavorare. I Rosolina vanno a scuola della migliore tradizione prog anni ’70 (King Crimson) e, con tanto di guanti e mascherina, inventano forme, suggeriscono soggetti e creano modelli.

Le chitarre morbide, i barocchismi e il suono levigato, fascinoso, scoppiettante, così, sono più e più volte rinnegati per rimettere in discussione il prodotto. L’imperativo è creare, “uccidere” la materia a colpi di palmi, rimescolarla e ritornare a modellarla da capo. “Protopapetti”, così, cambia forma più volte, spuntano dei feedback, dei piatti indisciplinati, e poi anche un basso gorgheggiante ed un violino elettrico sono impastati con il resto. “L’ora di religione”, poi potrebbe musicare benissimo un film di Peckinpah o qualcuno dello spaghetti western.

 

I feedback sono quelli della sfida. La terra rossa quella di San Miguel. I due sfidanti contano i passi e si ritrovano uno di fronte all’altro. Si guardano negli occhi, sfiorano le fondine. La gente li guarda, in attesa del giudizio finale. Il cielo è macchiato di rosso, i cavalli nervosi muovono la polvere. Alla fine entrambi i corpi capitolano a terra. Silenzio. Morte. Ma di colpo, mentre tutto pareva rimesso a un giudizio superiore, una sparatoria feroce ricopre gli spazi e infuria sulla scena. La polvere stavolta è quella che esce dalle canne da fuoco. I corpi sono macchie, la città fuma dolore e risuona eco. Molti giacciono a terra, altri sono nascosti dietro alle finestre. La locanda è una groviera di pallottole, le strade emettono un’insopportabile olezzo di sangue, ma è a questo punto che le puttane ci bevono su e salgono sui tavoli smuovendo le sottane a suon di musica.

Tra gli episodi migliori inoltre: il blues avariato, artefatto e assordante di “Flesh Dance”, l’hard-jazz elettrico iracondo de “Il culto del cavo elettrico”, le serpentine distorte della title-track e i battibecchi tra chitarre di “Mingonzo di Mingonzo”.

 

Questo disco, da ingerire rigorosamente prima e dopo i pasti, è un continuo spalmare salse differenti in modi differenti. C’è il rischio di una critica di eccessivo esercizio di stile, ma al momento i tre veneti riescono a schivare i colpi. I Rosolina fanno un passo avanti rispetto al post-rock del debutto e si candidano ufficialmente come banditi saccheggiatori del rock.

Riccardo Marra

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