Barcone della morte, migranti ammassati nella stiva Gip: «Da scafisti condotta criminale e disumana»

«Inumano e degradante». Il gip di Palermo Giangaspare Camerini definisce così il trattamento riservato ai 494 migranti, soccorsi nel Canale di Sicilia dalla nave Poseidon, dai 10 presunti scafisti arrestati (tra cui un 17enne ritenuto il timoniere del barcone della morte) con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione e omicidio plurimo. Nel provvedimento di convalida dei fermi, il giudice per le indagini preliminari sottolinea il «criminoso e programmato sistema disumano di gestione dell’ordine a bordo, applicato concordemente da tutti i membri dell’equipaggio».

Nella stiva del barcone di appena 20 metri intercettato dal pattugliatore svedese i soccorritori hanno trovato 52 salme. Migranti morti asfissiati e picchiati dai loro aguzzini, minacciati «anche con l’uso di coltelli e bastoni» per costringerli a rimanere seduti e immobili durante la traversata. Secondo la ricostruzione degli investigatori della Squadra mobile e della Guardia di finanza, a cui la Procura ha delegato le indagini, in un spazio largo circa 4 metri e alto circa un metro e mezzo, i trafficanti di morte avrebbero “ammassato” almeno 100 persone.

Nella stiva, occupata dai motori accesi, priva di boccaporti e di altre uscite per l’aria, hanno trovato la morte 52 uomini di età compresa tra i 20 e i 40 anni. «I due fori presenti nell’imbarcazione – spiegano gli inquirenti – di circa 75 centimetri per 75 erano stati chiusi e bloccati dalle oltre 400 persone che si trovavano sopra coperta». Il barcone fatiscente era salpato il 26 agosto dalle coste della Libia, precisamente da Zuwarah. Quasi subito l’aria dentro la stiva era venuta a mancare. «Sulla botola di prua della stiva – ha raccontato uno dei superstiti – era presente un membro dell’equipaggio. Colpiva, anche con un coltello, le persone che mettevano la testa fuori, mentre un secondo gruppo di scafisti picchiava le persone che mettevano la testa fuori della botola di poppa».

«I migranti, pur di cercare di inalare ossigeno – scrive il gip nelle 44 pagine dell’ordinanza di convalida dei fermi lunga oltre 40 pagine -, sfidavano la reazione brutale e disumana degli scafisti (consapevoli senza dubbio della drammatica situazione e dell’imminenza dei decessi), tentando senza successo di uscire dalla botola della stiva». «Agli uomini dell’equipaggio abbiamo comunicato ripetutamente che c’era poco ossigeno e poca acqua – ha raccontato uno dei testimoni agli inquirenti – e che la gente cominciava morire, ma nonostante tutto ci impedivano di uscire dalla stiva».

Un «criminoso e programmato sistema disumano di gestione dell’ordine a bordo applicato concordemente da tutti i membri dell’equipaggio» si legge nell’ordinanza. Per il gip «costituisce un dato acquisito la consapevolezza degli scafisti circa l’imminente esito letale per tutti i migranti della forzata permanenza chiusi nella stiva».

A giustificare la loro custodia cautelare in carcere, però, non è solo la «loro personalità criminale», ma il pericolo di fuga e il rischio di inquinamento probatorio. Scrive il gip: «Gli indagati, privi di dimora in Italia, godendo anche dell’appoggio dei correi nel reato per cui si procede – rimasti allo stato ignoti – possono far perdere le proprie tracce dandosi alla fuga. Quindi, il “pericolo di fuga” legittimante l’adozione del provvedimento deve ritenersi sussistente nei confronti degli indagati, anche in ragione della possibilità di avvalersi della complicità dei concorrenti nel reato per trovare rifugio sul territorio o all’estero». 

Inoltre, sebbene gli indagati siano incensurati, «la loro personalità, la particolare capacità criminale e non comune inclinazione a delinquere – spiega ancora il gip – può essere “desunta” dalle concrete modalità di realizzazione della condotta criminosa, con iniziale esposizione al pericolo di un numero ingente di persone, concretizzatasi nel corso della navigazione nella disumana condotta di costringere i migranti a rimanere nella stiva mentre l’ossigeno si stava esaurendo e cominciavano i decessi».

Sussiste, infine, il pericolo di “inquinamento probatorio”, potendo «gli indagati, se scarcerati, agire criminosamente per condizionare le reciproche dichiarazioni e quelle dei migranti dichiaranti».

Rossana Lo Castro

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