«Poiché il comma interviene su tipi di investimenti che possono incidere sui diritti costituzionali si precisa che la dichiarazione di illegittimità non produce effetti sui procedimenti in corso». Sta in questo passaggio della sentenza 74/2018 della Consulta il motivo per cui la città di Messina può tirare un sospiro di sollievo davanti al possibile stop ai finanziamenti per le periferie, introdotto con la legge di bilancio per il triennio 2017-2019 dell’allora governo Gentiloni. La notizia del blocco è circolata con l’approvazione al Senato di un emendamento al decreto Milleproroghe. In attesa del voto della Camera e del definitivo via libera al provvedimento del governo targato M5s-Lega, i sindaci delle città beneficiarie dei fondi già ieri hanno annunciato proteste e ricorsi davanti allo spauracchio della perdita di risorse che ritenevano sicure e che sarebbero dovute servire a riqualificare quartieri dimenticati. Tanto nelle metropoli che nelle medie città.
In Sicilia a essere interessati dalla vicenda sono tutti i capoluoghi di provincia e le tre città metropolitane, a eccezione di Messina. La città dello Stretto è salva, infatti, grazie al 21esimo posto nella graduatoria stilata dal governo nazionale, con cui sono stati assegnati poco meno di 18 milioni di euro. Palazzo Zanca, che si è presentato con il progetto di riqualificazione denominato Capacity, ha già beneficiato di una prima tranche di contributi sottoscritta a marzo del 2017. Tuttavia il sindaco Cateno De Luca, che nei giorni scorsi ha ordinato la demolizione entro la fine dell’anno delle baraccopoli presenti in città con l’obiettivo di spingere la Regione e il governo nazionale a farsi carico della situazione, dovrà pensare a come affrontare lo stop dei fondi per tutti gli altri Comuni che avrebbero beneficiato delle somme destinate alla città metropolitana di Messina. Quaranta milioni per un progetto che si è piazzato soltanto al 101esimo posto.
Ma come si è arrivati al discusso emendamento? Tutto nasce da un ricorso presentato dalla Regione Veneto nel 2017. L’ente guidato dal leghista Luca Zaia si è rivolto alla Corte costituzionale per sottolineare come «il fondo è destinato a finanziare programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato, ma che intervengono anche in settori che investono direttamente le competenze concorrenti delle Regioni, senza però prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni interessate». Appunto che la corte presieduta da Giorgio Lattanza ha ritenuto fondato. «Lo Stato – si legge nella sentenza – può attribuire al livello centrale una funzione amministrativa e allo stesso tempo regolarne l’esercizio con propria legge, anche in materie regionali, a condizione che sia assicurato il coinvolgimento del livello di governo territoriale interessa».
Al pronunciamento della Consulta ha fatto riferimento il senatore del Movimento 5 stelle, Fabrizio Trentacoste. «Lo slogan del giorno – ha scritto su Facebook il parlamentare originario di Enna parlando dei temi che sarebbero tirati in ballo con l’intento di attaccare il governo – riguarda i tagli ai fondi previsti dal bando Periferie, su cui governo e parlamento sono intervenuti per dare attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale. Vista la necessità – continua Trentacoste – di rispettare la sentenza della Consulta, è stato necessario intervenire per analizzare i restanti progetti e valutare quali abbiano davvero una funzione di rilancio per le periferie. In ogni caso, le spese progettuali già sostenute verranno rimborsate. Si è perciò deciso di utilizzare le risorse stanziate per le convenzioni negli anni 2018 e 2019, non solo per alcuni dei progetti dei comuni capoluogo che hanno partecipato al bando, ma per tutti i quasi ottomila Comuni d’Italia, al fine di consentire alle tante amministrazioni comunali che hanno avanzi di amministrazione – conclude il senatore – di potere utilizzare immediatamente quelle somme per investimenti in opere pubbliche, secondo un criterio di premialità e di equità e nel rispetto dei principi costituzionali».
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