Il più veloce a scrivere, come spesso avviene in questi casi, era stato il ministro degli Interni Matteo Salvini. Dopo l’arresto di 13 componenti del gruppo criminale Eiye, avvenuto nel cuore di Ballarò, il vicepremier aveva commentato la vicenda con il solito tweet rivolto ai propri avversari: «Com’era la storiella di alcuni “intellettuali”e politici di sinistra secondo i quali “la mafia nigeriana non esiste”? È finita la pacchia». Ora però, a distanza di una settimana dall’operazione condotta dalla squadra mobile di Palermo, la comunità nigeriana di Ballarò sceglie di ribellarsi alla narrazione univoca che Salvini e, più in generale, il mondo della destra italiana hanno diffuso. Anche la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, infatti si è scagliata contro l’ex presidente del Senato Pietro Grasso, che aveva sostenuto che «a Palermo il nemico numero uno è sempre Cosa nostra che, eventualmente, subappalta traffici illeciti a organizzazioni minori, comunque pericolose, come quella nigeriana».
Per rovesciare questo racconto, in cui immigrazione fa rima con criminalità, gli abitanti del quartiere più multietnico della città hanno convocato una conferenza stampa alle 10 nella chiesa di san Giovanni degli Eremiti. «Diciamo no alle strumentalizzazioni che sono state fatte dopo gli arresti», dice ad esempio Rasheed, che fa il mediatore culturale e vive a Palermo da 22 anni. Solo uno dei tanti nigeriani perbene che ora sente più forte che mai l’esigenza di prendere le distanze da una minoranza violenta e criminale che non rappresenta né la comunità in toto né l’unica faccia del quartiere. «Verranno fatte alcune proposte, che noi come Sos Ballarò abbiamo già sostenuto – gli fa eco Massimo Castiglia, presidente della prima circoscrizione – Chiaramente va fatto un percorso, non possiamo abbandonare gli esponenti della comunità nigeriana rispetto alla violenza immane di poche persone. Noi ci siamo, e appoggiamo lo sforzo di chi vive a Ballarò da tempo di non essere associato a questi esseri inutili che ci sono nella zona alta del quartiere. Perché Ballarò è anche altro».
Da anni un nutrito numero di associazioni, attività commerciali e singole persone prova ogni giorno a costruire nuove relazioni, nuovi spazi, nuove prospettive. Ma per una parte di quartiere che accetta di cambiare – tra murales, piazze tolte al degrado, la riscoperta di alcuni monumenti e continue iniziative tra le vie – ce n’è un’altra che, pervicacemente, resiste e continua a fare i propri affari. L’operazione No Fly Zone, infatti, è una mappatura degli interessi della mafia nigeriana nel quartiere. Solo la parola Ballarò, tra le carte dell’indagine, ricorre 98 volte. È piazza di spaccio, innanzitutto. Ma anche la casa dei membri di Eiye, che lì ci abitano. E che quindi diventa di conseguenza anche l’ideale luogo d’incontro del gruppo: «Si incontrano al bar di Destiny», per esempio, dice il primo pentito della mafia nigeriana, Austine Johnbull, che dal canto suo ha rinnegato il gruppo rivale, quello della Black Axe. Un bar «in una traversa all’altezza del tabacchi di via Maqueda». Non è un caso, visto che Destiny è uno di quelli che si occupa della droga: «Eroina, marijuana…prima faceva hashish, fumo – dice -. A Palermo qua solo Destiny c’è come capo». Sa molto della Eiye Confraternity, Johnbull. Ne conosce bene soprattutto l’inclinazione violenta: «Per andare a risolvere un problema io devo essere armato, quelli ammazzano a tutti quindi devi essere armato…sono venuti con un grande bagaglio pieno così di spade. Hanno dominato Palermo – spiega ancora -, noi non potevamo uscire fuori casa di sera o di giorno perché loro giravano per tutto Ballarò per cercare uno di noi nel quartiere».
Dosi di violenza esplose senza troppi scrupoli anche pubblicamente, proprio lì per quelle vie di Ballarò, incastrate perfettamente a metà fra l’impegno dei tanti, i più, sui temi dell’accoglienza e dell’integrazione, e la criminalità made in Nigeria. «Quello è della Eiye, lo abbiamo preso e lo abbiamo colpito, proprio lì in piazza di Ballarò dove c’è chiesa, lo abbiamo picchiato – racconta Johnbull -. Bottiglia, pugni, la testa sbattuta sul muro, queste cose così, abbiamo picchiato bene bene, poi lui pure è riuscito a scappare». Ma Ballarò, per questi gruppi, è stato anche territorio di pace e di scambio, seppur per un breve frangente. Quando i membri di Eiye e di Black Axe si sono incontrati in un bar di via Trappetazzo. Ma quelle vie, più delle strette di mano, hanno visto scorrere parecchio sangue. E quasi sempre alla luce del sole. Come quando alcuni di Eiye hanno tramortito a colpi di bastone e di bottiglia uno del gruppo che aveva sgarrato, lasciandolo a terra svenuto. È il 9 settembre 2018, e a trovarlo, incosciente sull’asfalto di via Case Nuove, sono gli agenti della mobile. Trauma cranico, trauma toracico-addominale, una ferita lacero-contusa alla mano e una all’avambraccio sinistro è il referto del Policlinico. Ma prima di questo episodio, ne erano seguiti altri dal tenore simile: scontri all’ultimo sangue con asce e coltelli alla mano, di fronte all’intera piazza del quartiere.
Ma per tutti, Ballarò, rimane principalmente un luogo dove organizzare le proprie attività illecite. È nel cortile delle Bisacce, ad esempio, che fondono la loro connection house, base operativa del gruppo Eiye, dove gestire al sicuro da occhi indiscreti lo spaccio di eroina e crack e lo sfruttamento della prostituzione. A gestirla è Uyi Sunday, alias Action, tra i neo pentiti che oggi hanno deciso di parlare con i magistrati. «Solo dopo il mio arrivo a Palermo seppi che si trattava di una connection house – ha raccontato una giovane vittima, che ha dato il via alle indagini -. Action è venuto a prendermi e mi ha portata in un appartamento vicino a Casa Professa. All’interno c’erano altre due ragazze, entrambe costrette a prostituirsi. La casa si trova al piano terra, ci sono tre stanze nella stanza principale. Action vende la birra mentre nelle altre due stanze noi tre portavamo i clienti». Ballarò continua a essere luogo privilegiato persino per gli accordi col gruppo criminale di Catania a cui, dopo un incontro in una bettola di via Rosselli, gli affiliati palermitani cederanno il comando della regione. Nel quartiere ci restano anche gli Eiye che non partecipano a incontri e riunioni, né ai violenti scontri nelle piazze, come un ragazzo che lì a Ballarò lavora in una bottega, cercando di restare quanto più a distanza da un gruppo criminale violento di cui non ha mai voluto veramente far parte.
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