Bagheria, tra vie dei mafiosi e demolizioni di case abusive Cinque: «A breve spariranno nove ville illecite sulla costa»

«Nove ville che sorgono abusivamente lungo la costa saranno demolite a breve». Lo aveva detto tante volte, ma mai come adesso si era stati così vicini da poterla quasi toccare con mano quella ripulitura della costa bagherese agognata per anni. Stavolta il sindaco Patrizio Cinque sembra fare sul serio e sembra soprattutto avere in mano gli strumenti necessari per mettere a tacere non poche polemiche che si trascina dietro dall’inizio del suo mandato. Le più nutrite proprio sul tema dell’abusivismo edilizio, che lo riguarda da vicino e che fra qualche giorno lo vedrà anche comparire in un’aula giudiziaria del tribunale di Termini Imerese. «La prima da cui cominceremo sarà l’ex villa del boss Guttadauro», anticipa intanto. Non una villa qualunque, insomma. Si parte proprio per dare un’impronta molto chiara all’intero progetto di demolizione, per il quale il primo cittadino ha ottenuto sul finire di dicembre un mutuo di 499 mila euro da Roma.

«Per questo immobile abbiamo scoperto addirittura una concessione in sanatoria rivelatasi falsa. Quindi illegittima, ottenuta non si sa in quale modo», spiega il sindaco. A sparire sarà anche un piccolo alberghetto sulla costa e altri immobili simili, tutti entro il limite dei 150 metri dal mare, ma anche altri in diverse zone della città. «Abbiamo già firmato i contratti con Cassa, depositi e prestiti, adesso devono soltanto affidare i lavori; alla luce di un articolo della nuova legge di stabilità che permette di andare in deroga al Codice degli appalti e quindi di fare affidamenti diretti entro i 150mila euro – continua -, probabilmente potremo accelerare l’affidamento dei lavori e procedere con le demolizioni entro gennaio». Il piano, però, non è quello di fermarsi qui, anzi. «Nel 2019 programmeremo molte altre demolizioni, inizieremo a fare sul serio – annuncia infatti Cinque -. Anche se già con questi primi nove immobili diamo davvero una bella botta. Gli uffici hanno fatto molte ordinanze di demolizione, sulla costa abbiamo tanti immobili acquisiti e da demolire nei prossimi anni, e con i soldi».

Il mutuo di Cassa, depositi e prestiti prevede che ti indebiti, la società per azioni controllata dal ministero dell’Economia ti dà i soldi e tu li devi restituire entro cinque anni se li recuperi; scaduto questo termine i soldi vengono recuperati attingendo dai trasferimenti dello Stato e della Regione, «quindi è chiaro che se il Comune non crea una bella struttura per recuperare il credito finisce per ritrovarsi al quinto anno con molti soldi in meno. Le demolizioni costano e farle in questo modo ha una spesa elevata – spiega ancora il sindaco -. Per demolire quello che c’è a Bagheria ci vogliono moltissimi soldi, oltre dieci-quindici milioni di euro». Ma non ci sono solo le ville illecite sul mare. Proprio a Bagheria esiste una via denominata addirittura dei mafiosi, per l’alta concentrazione di abitazioni riconducibili alla criminalità organizzata. Si tratta di via Sofocle. Una stradina piccola, con altrettante brevi diramazioni laterali, che figura anche nell’ultimo elenco diffuso dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati. Nella tabella che raccoglie gli immobili con confisca definitiva e con destinazione già stabilita, infatti, c’è l’ex dimora del boss Gino Di Salvo (ritenuto ex vertice della famiglia bagherese, condannato definitivamente a maggio 2018 in seguito al blitz Argo scattato cinque anni prima), che in un primo momento si era pensato di trasformare in un presidio dei vigili del fuoco, ma che poi è stata affidata ai carabinieri per uso abitativo.

Non esiste elenco, però, in cui figuri un’altra ben più nota villa ex mafiosa che si trova in quella stessa via. Cioè la dimora appartenuta a Salvatore Buttitta, a Bagheria noto come il re delle cave. Un immobile simbolo di tanti paradossi insieme, perché non solo riconducibile alla criminalità organizzata ma anche abusivo. Insomma, non sarebbe mai dovuto esistere. Eppure resta ancora in piedi, lì in quella stretta via, e occupato dal figlio del boss, che lì ha la sua residenza. «Non è bello fare vedere che lo Stato confisca un immobile alla mafia e poi lo stesso è occupato dai familiari del boss», commenta il sindaco Cinque. Entrando in quella strada, procedendo dal parco cittadino, questa è la prima villa che ci si trova davanti. Un immobile grande su tre piani ciascuno di circa 500 mq, confiscato in primo grado nell’ambito di un procedimento avviato alcuni anni fa, all’epoca ancora della gestione Saguto. Un patrimonio che in quell’elenco dell’Agenzia non esiste proprio perché a gestirlo è il tribunale stesso, attraverso gli amministratori giudiziari, tre in tutto per l’enorme patrimonio tolto a Buttitta, tra imprese e possedimenti.

«L’immobile è confiscato ma ci sta il figlio, com’è possibile che il tribunale permetta una cosa del genere? – si domanda Cinque -. Non mi pare che sia il massimo, non capisco perché stia succedendo. Buttitta non c’è più (è deceduto nel 2008…ndr), ma mi chiedo se sia una forma di “rispetto”, in un certo senso, quello di non toccare l’immobile né il suo attuale inquilino. Il Comune non ne ha pieno possesso e non può demolire. Abbiamo fatto istanza di demolizione nel 2007, ma nessuno ha coltivato questa causa. Nel frattempo il patrimonio è stato sequestrato e prima ancora che si facesse all’epoca il verbale di non ottemperanza, il tribunale ha trascritto nel registro della conservatoria l’immobile. Quindi anche se il bene è iscritto nel registro del Comune perché abusivo, è anche nel registro del patrimonio dello Stato perché confiscato. Noi non possiamo fare nulla. Ma il tribunale al posto di demolire perché lo utilizza per fare stare lì il figlio del boss?». Domande lecite, che negli anni non si è posto solo il primo cittadino. Più volte le cronache infatti hanno cercato di chiarire la vicenda. E la risposta sembra anche più semplice del previsto. «Una confisca di primo grado, come in questo caso e avvenuta l’anno scorso, non è una confisca definitiva, è questo che fa soprattutto la differenza, sono aspetti importanti che vanno chiariti bene», spiega subito Virgilio Bellomo, uno degli amministratori giudiziari cui è affidato il bene.

E che invita subito a fare le dovute precisazioni, oltre a quella preliminare sull’iter della confisca. Per esempio che, sì, l’immobile risulta abitato dal figlio del boss, che è comunque una cosa ben diversa dal dire che ci abiti un boss. «Ci sono tutta una serie di azioni che sono concordate e che derivano da una serie di atti dell’amministrazione giudiziaria – chiarisce ancora Bellomo -. Ci sono ragioni che attengono alla fase procedurale vera e propria, quindi. Le fasi sono tre: sequestro, confisca di primo grado e confisca definitiva. Tre fasi distinte, solo nell’ultima si deve liberare definitivamente un immobile». Nel caso della villa Buttitta, quindi, ci sarebbe in atto adesso una situazione di limbo: «C’è ancora la possibilità dell’appello – puntualizza l’amministratore -. Tutto insomma è legato allo stato della procedura da seguire. Il nostro Stato ha una serie di norme e tempi della giustizia che vanno purtroppo al di là di quelli che possono essere i desideri. Ma ribadisco che qualunque cosa all’interno delle amministrazioni ha delle ragioni d’essere. Finché non si arriva a confisca definitiva il bene può tornare al legittimo proprietario». Il sindaco Cinque, intanto, spera di poter programmare a breve la demolizione anche di questa villa simbolo. «Era stata inizialmente inserita nel programma che partirà adesso, era la decima delle altre nove che butteremo giù, ma ho dovuto toglierla, dato che non ne abbiamo pieno possesso – chiarisce infatti il primo cittadino -. Abbiamo comunque il progetto pronto, quando il bene passerà al Comune troveremo i soldi per demolirlo».

Silvia Buffa

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