Esce nelle maggiori sale d’Italia il film shock “Un gioco da ragazze”, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Andrea Cotti (ed. Colorado Noir, 2005). La pellicola è stata giudicata dalla censura non adatta ad un pubblico al di sotto dei 18 anni perché racconta in modo troppo realistico la società e gli adolescenti di oggi. Nella motivazione della Commissione al provvedimento, si legge: “La figura della protagonista che riassume le categorie negative del cinismo, dell’immoralità sessuale, del consumo di droga, del disprezzo per la vita, risulta alla fine leader e vincente, senza che il film alterni tali caratteristiche con una conclusione esemplare, per cui il personaggio suddetto può apparire pieno di fascino ed addirittura un modello”.
Il giovane regista Matteo Rovere, con questo suo primo lungometraggio, ha voluto realizzare una denuncia di uno spaccato della società – senza generalizzazioni, tiene a precisare – per disturbare le coscienze, far riflettere. Protagonisti e destinatari di questo film sembrano essere in apparenza i giovani, e in parte lo sono (da qui l’amara accoglienza per la decisione della censura). Ma in fondo la storia mira a colpire i veri attori della società, ovvero i genitori. Padri e madri di famiglia che con la loro assidua non-presenza hanno creato dei mostri, viziati, legati solo all’apparenza, immersi nell’affascinante mondo delle feste sex-alcol-and-dancemusic, che non riescono più a discernere la realtà dalla finzione, anche quando si tratta delle proprie emozioni.
Questo è anche il ritratto di Elena Chiantini (Chiara Chiti) e le sue amiche Michela (Desiree Noferini) ed Alice (Nadir Caselli), compagne di perversione e malefatte. Sono le bad girls del 2008 e fiere d’esserlo, ispirate ai modelli che la società odierna propina (dalla più abbiente Paris Hilton alla comunque nota Amanda Knox), fashion addicted, esuberanti, impudenti. Giovani che hanno tutto materialmente e per questo ricorrono alle droghe e si atteggiano ad adulte. La famiglia e le istituzioni sono estranee e distanti o troppo vicine. In un momento delicato per la scuola italiana, la sceneggiatura inserisce la figura di un professore, interpretato dal bravo Filippo Nigro, che prova ad avvicinarsi ai suoi allievi, usando il loro stesso linguaggio, attraverso le letture di Roth e di Salinger. Ma, nonostante le sue buone intenzioni, viene catturato nelle trame della rete diabolicamente tessuta da Elena, cadendo preda del suo gioco pericoloso.
La trama è densa, il tema attuale e forte. Il regista, che si dimostra molto abile al debutto, risulta attento ai dettagli, intento a fornire una coerenza al quadro che dipinge con la frequente alternanza di scene dal ritmo contrapposto: dalla musica classica dei violini alla dance a palla in discoteca, dalla piatta realtà delle famiglie sfarzose alla sfrenata vita notturna delle figlie, sottolineate da riprese dal ritmo incalzante. Molti e azzeccati sono i primi piani, che ci mostrano la buona capacità di interpretazione delle attrici, tutte al loro esordio nel cinema. Particolarmente convincente è Chiara Chiti, la protagonista, che è riuscita a impersonare le parvenze del diavolo, dallo sguardo ammaliatore al ghigno beffardo.
Elena è un personaggio machiavellico; l’unico dettame che segue è il “suo” primo comandamento: “non avrai altro dio all’infuori di me”. Ma in fondo in fondo cela un briciolo di infanzia, solitudine, bisogno d’affetto. È la stessa persona che in una scena finale, dopo aver commesso una terribile azione, indossa disinvolta una tshirt con gli orsacchiotti, mentre in momenti drammatici come il suicidio “catartico” di una compagna finge, anche a se stessa, di non provare alcun dolore. Dimostra spesso di saper simulare lacrime e disperazione. Non a caso il professore proporrà alla classe la lettura de “Il Purgatorio” di Dante, e non “L’inferno”, perché sino alla fine a questa ragazza dal volto etereo si dà la possibilità di redenzione, di dimostrare al mondo che è diversa da come vuole apparire.
Degna di nota la colonna sonora firmata dal giovane compositore Andrea Farni e dalla cantautrice L’aura, interprete di “Nell’aria”, sorta di sigla che apre e chiude la pellicola, ancora una volta a sottolineare la circolarità di una storia che ha un’evoluzione, ma nessun significativo risvolto. Tutto rimane immobile e “perfetto” come all’inizio.
Per l’anteprima catanese il regista riesce nell’intento dichiarato: disturbare e fare riflettere. La gente in sala, tutti rigorosamente maggiorenni e in prevalenza genitori, è terrorizzata dall’idea che i propri figli possano cadere in tali giochi o semplicemente avere la sfortuna di incontrare dei coetanei del genere. Un film denuncia, dunque, che non trascura il versante emozionale, riuscendo a suscitare odio e pena al contempo verso questi adolescenti vittime di se stessi. Ma non solo.
Foto di Benedetta Motta
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