Un giro d’affari da oltre 300 mila euro e decine di assicurazioni e ignari acquirenti truffati. Questo il bilancio dell’operazione New Life, l’indagine condotta a partire dal luglio 2013 dalla polizia di Stato del compartimento di polizia stradale di Palermo, che ha consentito di far luce su un traffico di veicoli di piccola e media cilindrata ripristinati con pezzi rubati che aveva come base operativa un autosalone a Bonagia, la Car Import. Al termine dell’operazione sono finiti agli arresti domiciliari Giuseppe Castelli, 63 anni, Orazio Fiorentino, 38 anni, Rita Di Piazza, 51 anni, Giuseppe Taormina, 21 anni e Salvatore Messina, 55 anni. I carcere, invece, il capo dell’organizzazione, Giuseppe Megna, 31 anni. Tredici, inoltre, le persone denunciate coinvolte nei falsi sinistri stradali.
Il modus operandi della banda era ormai un copione abbastanza ripetitivo e collaudato. La mente dell’organizzazione sarebbe stata quella di Megna, figlio di Rita Pizza, la proprietaria dell’autosalone sottoposto a sequestro preventivo. Era proprio lui che prendeva i contatti con il meccanico e si preoccupava di trovare clienti delle vetture da piazzare dopo che erano state smontate e ripulite. Il capo dell’organizzazione, assieme al suo braccio destro, Taormina, acquistava su siti internet specializzati auto gravemente incidentate intestandole a terze persone ignare o compiacenti, e successivamente questi veicoli venivano ripristinati grazie a parti di ricambio provenienti da veicoli rubati. I lavori venivano compiuti nella carrozzeria di Fiorentino, a Brancaccio dove il meccanico Messina ripristinava i veicoli danneggiati.
Molto spesso, l’auto rubata veniva direttamente utilizzata dopo un’abile attività di contraffazione del numero di telaio e tornava sul mercato come nuova o nell’autosalone o su siti di compravendita di vetture online: l’elemento centrale della truffa consisteva nella genuinità dei documenti delle vetture. E la stessa automobile fruttava all’organizzazione ricavi illeciti due e, a in alcuni casi, persino tre volte. Sistematicamente, infatti, la carcassa acquistata veniva utilizzata per simulare falsi sinistri stradali e truffare le ignare compagnie assicurative grazie a persone che ricevevano una percentuale sul rimborso. Dopo aver incassato il premio, l’auto veniva ripristinata e venduta. E, in alcuni casi, veniva rubata agli stessi clienti che l’avevano acquistata per essere trasformata nuovamente in pezzi di ricambio. Secondo gli inquirenti, le compagnie assicurative sarebbero state truffate per almeno 50-60 mila euro di rimborsi non dovuti, ma la stima è per difetto e potrebbe anche essere più alta.
«Molto spesso gli acquirenti erano in buona fede – ha rivelato il comandante Lorenzo Ragona – ne abbiamo contattati almeno una trentina che ci hanno aiutato a ricostruire l’intera vicenda. Le indagini sono partite da un ordinario controllo di polizia amministrava dei veicoli in vendita negli autosaloni. Dietro le attività della banda – ha aggiunto – c’era un grande sottobosco di complici che si prestavano a simulare gli incidenti o a intestarsi le auto in attesa di essere vendute». La banda agiva quasi esclusivamente nel Palermitano, anche se due delle vetture sono state rintracciate una a Cagliari e l’altra a Lampedusa. In un caso, è stata accertato il furto simulato di un veicolo affittato all’aeroporto Falcone Borsellino, poi smontato e utilizzato per pezzi di ricambio. «Per le indagini – ha spiegato il vicequestore aggiunto Maria Giulia Sireci – ci siamo avvalsi di apparecchiature sofisticate: videocamere attrezzate ad hoc per monitorare l’autosalone, gps, intercettazioni telefoniche e ambientali. Al momento non possiamo escludere il coinvolgimento di altre persone, ma la cellula principale è stata smantellata – ha concluso – e non aveva altre ramificazioni».
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