Attilio Manca, archiviata inchiesta su morte urologo Ingroia: «Ingiustizia è fatta, lo Stato si autoprotegge»

L’inchiesta sul caso di Attilio Manca è chiusa. Così ha deciso il giudice per le indagini preliminari di Roma che ha accolto la richiesta di archiviazione della procura per il caso del medico d Barcellona Pozzo di Gotto trovato morto nella sua abitazione a Viterbo, nel febbraio del 2004. «Ancora una volta sul caso di Attilio Manca ingiustizia è fatta, ancora una volta la verità viene sacrificata sull’altare della ragioni di Stato». Così l’ex magistrato Antonio Ingroia, avvocato della famiglia Manca. 

L’urologo venne ritrovato con due segni di iniezioni nel braccio sinistro rimasti dall’orvedose di eroina, alcool e tranquillanti che ne avrebbero causato la morte. Inizialmente, il caso fu archiviato come suicidio anche se i familiari, sin da subito, hanno fatto notare che il giovane era un mancino puro del tutto incapace di utilizzare la mano destra e che non era mai stato un tossicodipendente. A confermarlo anche i colleghi dell’ospedale Belcolle di Viterbo, dove Manca lavorava. Inoltre, non sono state trovate impronte della vittima sulle siringhe trovate nell’appartamento.

L’ipotesi della famiglia è che Attilio sia stato ucciso per coprire un intervento chirurgico a Bernardo Provenzano, a Marsiglia, al quale anche l’urologo avrebbe partecipato. Questa versione, però, non è stata sposata dalla procura di Viterbo, che invece ha sempre sostenuto che Manca si sarebbe iniettato volontariamente le dosi nel braccio sbagliato. Una tesi che ha portato, nel marzo del 2017, il tribunale a emettere la sentenza di condanna a cinque anni e quattro mesi nei confronti di Monica Mileti accusata di avere ceduto la droga all’urologo. 

«Lo Stato si autoprotegge, anzi si autoassolve, affinché non si sappia la verità – commenta Ingroia – e cioè che Attilio è stato ucciso dall’apparato mafioso istituzionale che a lungo ha coperto la latitanza di Bernardo Provenzano prima del suo arresto, essendo all’epoca il boss il garante di Cosa nostra nella trattativa Stato-mafia. Invece di approfondire e di indagare a fondo – prosegue il legale – come pure imponevano le palesi incongruenze e le lacunose ricostruzioni che hanno caratterizzato le indagini, nonché l’assoluta inattendibilità di alcuni testimoni, si è preferito non vedere e non sentire, si è deciso di ignorare fatti evidenti – conclude – così da mettere una pietra tombale sull’intera vicenda».

Marta Silvestre

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