Alla fine dei giochi, chi è il politico dietro alla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia? È da questa domanda che ripartirà, forse, l’attuale processo di secondo grado in corso davanti alla corte d’appello di Palermo. Che non potrà non tenere conto dell’assoluzione, la seconda, decisa ieri nei confronti dell’ex ministro Calogero Mannino. «Assolto per non aver commesso il fatto». Questa la formula usata già dalla gup Marina Petruzzella, che lo assolveva in primo grado, e ripresa ieri dalla giudice Adriana Piras, che ha riconfermato quanto stabilito nel 2015. Un fatto che, quindi, ci sarebbe stato, la trattativa appunto, ma nei confronti del quale Mannino sarebbe estraneo, come sempre sostenuto dalla difesa. Crolla il castello accusatorio messo in piedi dalla procura, che voleva l’ex politico come l’ideatore della presunta trattativa fra pezzi deviati delle istituzioni e i padrini di Cosa nostra. È lui, secondo loro che ne avevano chiesto la condanna a nove anni, l’artefice di tutto, mosso tanto dalla volontà di frenare la stagione stragista quanto dalla necessità di salvare la propria vita rispetto all’ipotesi di un delitto per farlo fuori.
«Questa sentenza doppia, conforme rispetto a quella precedente, risolve il percorso che ha visto l’onorevole Mannino protagonista di vicende giudiziarie dall’inizio degli anni ’90. La nostra linea di difesa è sempre stata quella dell’assoluta mancanza di partecipazione di Mannino all’ipotesi delittuosa della trattativa Stato-mafia. Quindi l’assoluta mancanza, da parte dell’ufficio della procura, di una condotta concorsuale dimostrata appunto. Questa seconda sentenza risolve questo problema», osserva l’avvocata Grazia Volo, che ha difeso l’ex ministro Dc insieme agli avvocati Carlo Grosso, Marcello Montalbano e Cristiano Bianchini. «Noi non abbiamo mai pensato né di influire né di influenzare o interferire con il processo attualmente in corso dinnanzi alla corte d’appello – prosegue l’avvocata -. La nostra difesa è sempre stata molto lineare e minimale: non ci sono le prove della partecipazione di Mannino ad alcuna trattativa. Se poi questa c’è stata, io posso avere la mia opinione, che non è certo influente, ma non riguarda la posizione di Mannino».
Malgrado la scelta del rito abbreviato, che ha portato l’onorevole ad affrontare il processo, sia di primo che di secondo grado, isolato dagli altri imputati coinvolti in ordinario, il processo ha avuto una lunga gestazione, tra riapertura del dibattimento e testimonianze di un certo rilievo. E anche la sentenza di oggi è arrivata dopo oltre cinque ore di camera di consiglio. «È stata un’esperienza, per me e il collega Carlo Grosso, molto importante – sottolinea infatti la legale -, perché la corte è stata un interlocutore di grande linearità e competenza». Intanto, questa seconda assoluzione si posiziona sul solco tracciato già, tre anni e mezzo fa, dalla gup Petruzzella. Quella che riconosce l’estraneità di Mannino: non è stato lui a stringere patti con Cosa nostra in rappresentanza dello Stato. Ma qualcuno, intanto, lo ha fatto. Specie alla luce del primo grado dello stesso processo celebrato in ordinario, che un anno fa ha condannato tutti i suoi imputati salvo uno. Se non è stato Calogero Mannino, rispetto al quale per la seconda corte d’assise presieduta dal giudice Alfredo Montalto «possono ritenersi effettivamente provati tanto il timore (se non il terrore), subito dopo l’uccisione di Salvo Lima, di subire anch’egli la punizione o la vendetta di Cosa nostra» per non aver evitato le pesanti condanne del maxi processo, e «dopo avere per molti anni instaurato con alcuni suoi esponenti dei rapporti».
Una sentenza, quell’altra, che in un certo senso sembra cristallizzare tutta un’altra verità. E che sembrerebbe far emergere, con le due assoluzioni di Mannino, intanto un punto fermo: che la trattativa c’è stata. Ma che biforca la strada sulle ricostruzioni e i protagonisti che ne furono coinvolti. Mannino non ne fu l’ispiratore, non è stato lui a farsi portavoce del messaggio di Cosa nostra alle istituzioni, servendosi come tramite dei due ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno. Mannino aveva paura, sapeva di essere nel mirino della mafia, e «in tale contesto – scriveva la gup in primo grado – si rivolse al maresciallo Guazzelli e quindi a Subranni, Mori, a Contrada e altri per ottenere protezione». Per quanto riguarda tuttavia un suo ruolo attivo all’interno del sistema di minacce di Cosa nostra nei confronti del Governo, mancherebbe una «comprovata volontà di partecipazione dolosa al crimine». Sullo sfondo, a livello processuale, di testimoni ritenuti inattendibili, di un «papello fornito in fotocopia» e che sarebbe solo il frutto di una «grossolana manipolazione» da parte di Massimo Ciancimino, di cui la gup sottolineava «l’assenza di coerenza» e «la strumentalità del comportamento processuale».
«Dobbiamo aspettare le motivazioni della sentenza. Vogliamo che giustizia sia fatta, ma per la ricerca della verità, non perché siamo giustizionalisti. Cercheremo di capire i motivi di questa assoluzione e le implicazioni che potrebbe anche avere nel processo in corso», il commento di Rosanna Melilli, coordinatrice dell’associazione Agende rosse, parte civile al processo stralcio contro Mannino. L’attesa, quindi, anche se la posizione dell’associazione, presieduta da Salvatore Borsellino, è da tempo nota. «Si deve tenere conto che, nonostante quelle minacce da lui ricevute e recepite, lo stesso onorevole Mannino si candida alle elezioni dopo la morte di Lima e viene eletto parlamentare. Altro aspetto da considerare è proprio quell’omessa denuncia commessa dal politico della Dc. A chi dice che lui non poteva denunciare in quanto per farlo “avrebbe dovuto ammettere una certa vicinanza a Cosa nostra” si può rispondere che questi non è che un ragionamento astratto. Per rappresentare ai carabinieri o alla magistratura l’arrivo di una corona di fiori o il pervenire di una telefonata intimidatoria non occorre certo dire di essere collusi con Cosa nostra», aveva sottolineato in tempi non sospetti l’avvocato Fabio Repici, legale delle Agende rosse.
Intanto, sui social è una pioggia di commenti di solidarietà e congratulazioni in sostegno a Mannino. Tra chi parla di «principio di legalità affermato anche da questa ennesima sentenza» a chi si professa «certo» dell’estraneità dell’ex ministro ai fatti contestati, anzi, ora «ne è certa anche la magistratura. Sono felice per l’uomo. Sono felice per la storia politica che rappresenta. Un conto sono i complotti, un altro la verità. E oggi trionfa la verità». «Un grandissimo politico che ci è stato tolto per queste vicende giudiziarie», commenta un altro, mentre infine qualcuno si chiede «ora chi paga?».
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