Venne chiamato il «barcone della morte» non a caso: a bordo c’erano circa 600 migranti. Sotto, stipati nella stiva, 56 cadaveri. La macabra scoperta fu fatta dall’equipaggio della nave svedese Poseidon che intercettò l’imbarcazione naufragata nel Canale di Sicilia. I morti e i sopravvissuti vennero portati a Palermo e la Procura riuscì, grazie ad alcune testimonianze, a individuare gli scafisti. In tutto otto persone, sette adulti e un minore, accusati di omicidio plurimo, naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Oggi la corte d’assise di Palermo ha assolto tutti gli imputati maggiorenni, nonostante, per cinque, i pm avessero chiesto la condanna all’ergastolo.
Processato separatamente, un 17enne tunisino era stato, invece, condannato dal tribunale dei minori. Per la corte d’assise, che ha scelto la formula assolutoria dell’insufficienza di prove, le testimonianze dei superstiti, che accusarono gli imputati, non sono evidentemente attendibili. Una tesi sostenuta anche dai legali dei presunti scafisti che hanno ritenuto che i superstiti abbiano accusato i compagni di viaggio per poter avere un trattamento di favore nell’iter per l’ottenimento della protezione umanitaria. Le vittime, secondo la Procura che dispose l’autopsia su tutti i corpi, «sarebbero state accoltellate e bastonate dagli scafisti» nel tentativo di impedire loro di risalire in coperta e lasciare la stiva del barcone. Alcune, poi, sarebbero morte per le esalazioni dei gas di scarico del motore.
Con riferimento invece a un altro naufragio, avvenuto nell’ottobre 2013 e che costò la vita a centinaia di persone, tra cui molti bambini, il gup di Roma ha rinviato in Procura gli atti processuali per la riformulazione del capo di imputazione per i reati di rifiuto d’atti d’ufficio e omicidio colposo nei confronti di due ufficiali: il comandante responsabile della sala operativa della Guardia Costiera, Leopoldo Manna, e il comandante della sala operativa della squadra navale della Marina, Luca Licciardi. Si tratta di una vicenda processuale complessa, nata da un’inchiesta sui presunti ritardi nei soccorsi.
In un primo momento la procura aveva chiesto l’archiviazione, ma il gip aveva disposto l’imputazione coatta, parzialmente censurata però dalla Cassazione. Sulla scorta del verdetto della Suprema Corte un altro giudice ha disposto l’invio degli atti al pm, per la formulazione dell’esatto capo di imputazione. Per quanto riguarda invece la posizione del tenente di vascello Catia Pellegrino, comandante della nave della Marina militare Libra che il giorno della sciagura era la più vicina dal luogo del naufragio, si va verso una richiesta di archiviazione.
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