«Non è vero che negli inceneritori finiranno i rifiuti che non è possibile riciclare, quegli impianti funzionano se bruciano carta e plastica, che verrà sottratta alla differenziata». È netta la posizione di cinque associazioni contro i sei inceneritori previsti dal governo Crocetta per superare l’emergenza in Sicilia. L’input è arrivato dal governo Renzi che nello Sblocca Italia prevedeva due mega impianti per smaltire 700mila tonnellate di munnizza, quantitativo che secondo i calcoli di Roma, rappresenta il 30 per cento di tutta quella prodotta nell’Isola. Crocetta ha prima nicchiato, poi ha virato sulla costruzione di sei inceneritori più piccoli che sorgeranno nelle province di Catania, Palermo, Messina e nei bacini di Ragusa-Siracusa, Enna-Caltanissetta e Agrigento-Trapani.
Adesso Rifiuti Zero, Zero Waste, Eticologica, Tueri Naturam e Casa Mirìo puntano il dito contro una scelta che «riporta indietro nel tempo» e che rappresenta «l’esatto contrario di quanto sosteneva lo stesso Crocetta in campagna elettorale e di quanto aveva più volte sostenuto in seguito». Quello che non torna alle associazioni ambientaliste sono proprio i dati su cui si basa il piano inceneritori. E che si riferiscono al 2013, ultimo anno censito, in cui la Sicilia ha prodotto 2 milioni 391mila tonnellate di rifiuti. Secondo il governo Renzi, in futuro il 65 per cento dovrebbe essere differenziato. Percentuale scelta non a caso. «È quella indicata dall’Unione europa ma è ormai superata dalle nuove direttive – spiega Danilo Pulvirenti, presidente regionale di Rifiuti Zero – Le più recenti parlano di altre percentuali che, sommando l’umido alle frazioni che si possono riciclare (carta, plastica, alluminio, ecc), portano il totale al 90 per cento. Resterebbe appena il 10-15 per cento da mandare in inceneritore, quantità su cui un impianto non può reggersi».
Il nodo sta proprio nell’umido, cioè la parte organica della munnizza. «Che in Sicilia – precisa Pulvirenti – rappresenta ben il 40 di quel 65 per cento indicato inizialmente dall’Europa. Di conseguenza plastica, alluminio, carta, vetro formano solo il 25 per cento. La nuova direttiva europea – continua – dice che bisogna arrivare al 50 per cento di queste frazioni secche a cui va aggiunto l’umido». Si arriva così al 90 per cento. «Ma noi – continua il presidente di Rifiuti Zero – non arriveremo neanche al 65 per cento perché nessuno sta pianificando gli impianti di compostaggio per il trattamento dell’umido che così continuerà ad andare in discarica».
E i Comuni rischiano di continuare a pagare su due fronti. Quello delle discariche, appunto, e quello degli inceneritori. O meglio degli impianti Tmb (trattamento meccanico biologico), cioè quelli che stabilizzano il rifiuto che poi andrà negli inceneritori. «Queste strutture – sottolinea Pulvirenti – saranno gestiti dai privati, a loro i Comuni dovranno portare carta e plastica anziché venderli nel circuito Conai da cui potrebbero addirittura derivare ricchezza». La soluzione, dunque, per le associazioni ambientaliste, sarebbe «un Piano Regionale dei Rifiuti impostato sulla raccolta differenziata spinta e sul recupero di materia che si ispiri all’orientamento europeo sull’economia circolare». Che, in altre parole, significa spingere affinché le industrie usino materiali che non siano rifiuti, ma oggetti funzionali un domani ad altre aziende. Così facendo anche la parte residuale da destinare in discarica si ridurrebbe fino a scomparire.
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