La vita in politica di Domenico Grasso è cominciata nel 1975, quando aveva 17 anni. A Linguaglossa si è iscritto prima alla Federazione italiana giovani comunisti, e poi al Pci. Un lungo percorso a sinistra, che lo ha portato – passando attraverso l’Ulivo – ad approdare al Partito democratico. E a far parte dell’assemblea del partito del premier Matteo Renzi, in qualità di delegato per Catania e provincia. Ma in vista della prossima riunione nazionale, prevista per il 18 luglio, Grasso ha deciso di presentare le sue dimissioni. «La questione morale mi premeva dall’inizio e mi preme ancora di più adesso – afferma – Non ho digerito le larghe intese nella politica nazionale, ancora meno l’ingresso di Articolo 4 sul piano regionale. Volevo stare in una formazione politica che credesse nell’antimafia, invece mi sono ritrovato in un partito in cui questi temi sono usciti dall’agenda». E che anzi rimane al governo con il Nuovo centro destra, i cui esponenti sono coinvolti a vario titolo nell’inchiesta Mafia Capitale. Che riguarda anche la gestione del Cara di Mineo.
Una lunga lettera, spedita tramite raccomandata a Matteo Renzi e al presidente dell’assemblea nazionale Pd Matteo Orfini, con la quale Grasso prende nettamente le distanze dalla formazione politica di cui ha fatto parte e in cui ha creduto: «Provengo da un’area che sin dall’inizio è stata criticata all’interno del partito. Ma ho pensato che le cose potessero cambiare – dice – Per questo motivo ho sostenuto la candidatura di Pippo Civati a segretario, perché le sue posizioni si avvicinavano di più alle mie. Stare in un partito significa anche stare nella minoranza». Anche quando la vittoria ha baciato Matteo Renzi. «Prima la sua ascesa è stata amichevole, adesso la definirei assolutamente ostile nei confronti dell’animo della sinistra», aggiunge Domenico Grasso.
«Sono un insegnante, ho vissuto in modo lacerante la riforma della Scuola – sostiene – Ma la mia posizione nel Partito democratico era già provata. A Catania la gestione del partito è inesistente, il segretario regionale in Sicilia, Fausto Raciti, è un giovane già vecchio». Affermazioni, le sue, che ribadisce con forza nella sua missiva di dimissioni: «C’è poco da aspettarsi da un partito siciliano che in questi mesi ha imbarcato esponenti politici che prima di approdare ai lidi del Partito democratico sono passati per Cuffaro, Lombardo e Miccichè. Gli esponenti di quel centro mobile che incarna in sé la brutta storia della politica siciliana fatta, nella migliore delle ipotesi, di trasformismo e opportunismo», scrive Grasso. E rincara la dose: «Immaginavo un Pd repellente per mafiosi e corrotti e mi sono ritrovato in un partito attraente».
«La Sicilia paga alla malavita e alla corruzione il prezzo, pesantissimo, del mancato sviluppo di questa terra – arringa l’ex esponente del partito – Il territorio è nelle mani militari della criminalità organizzata. Insegno in un istituto agrario e ai ragazzi che vogliono fare gli imprenditori in questa terra devo dire che qui è più difficile che altrove. E questa è colpa della politica che non è intervenuta». «Non sono un ostaggio delle utopie – conclude – Non cerco il Pci di una volta, ma penso che un partito di sinistra non debba auto-confinarsi. Sono arrivato a 58 anni e ancora ci credo, per questo aderirò a Possibile, il movimento di Pippo Civati». Dopo aver deciso di lasciare il Pd. «Sono stato consigliere comunale e assessore a Linguaglossa, la politica l’ho fatta anche sporcandomi le mani. Qualcuno dice che le battaglie vanno fatte dall’interno, però questo partito non mi rappresenta più e non cambierà. Adesso è un posto in cui si pensa solo alla gestione del potere. Io cerco altro».
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