Aspettando il Pride: quant’è queer Catania? «Oltre ogni distinzione in categorie binarie»

Quando Alice nel Paese delle Meraviglie incontra il bruco seduto su un fungo a fumare il narghilè, gli chiede se non si sentirà forse un po’ queer il giorno in cui si trasformerà in crisalide e poi in farfalla. Nell’inglese di Lewis Carroll, queer voleva dire bizzarro, strano. Nel ‘900 queer diventa termine offensivo per indicare persone i cui orientamenti o identità sessuali sono considerati strani, non normali – che non obbediscono, cioè, alla norma etero: omosessuali, bisessuali, trans, persone dalla sessualità dissidente. C’è stata poi una svolta nella storia di questa parola: è avvenuto un processo creativo di «dislocazione dell’insulto» (Judith Butler) per cui alcune di quelle stesse persone hanno iniziato a definirsi queer provocatoriamente, diventando così soggettopiuttosto che vittima dell’enunciato attraverso il ribaltamento del termine in positivo.

Ma dove starebbe la novità, se queer fosse un semplice sinonimo di omosessuale? Oppure soltanto un termine-sintesi delle identità rappresentate dalla sigla LGBTI (Lesbiche Gay Bisessuali Transgender e Intersessuali)? Definire una volta per tutte il termine queer è impossibile, perché è un significante instabile, come le identità che esso vuole evocare. La ricezione del termine in Italia, così come delle teorizzazioni politico-filosofiche ad esso legate, è tuttora oggetto di dibattito (si vedano per esempio Pustianaz, Queer in Italia 2011, Antosa, Queer Crossings 2012, Bernini, Apocalissi Queer 2013).

Mentre si è da poco concluso a Palermo il Sicilia Queer FilmFest, organizzato in collaborazione con l’Università del capoluogo, il termine queer ha iniziato a circolare sempre più anche a Catania. È un segnale positivo che idee e pratiche nuove approdino finalmente in città, ma occorre evitare il rischio che si annulli la ricchezza del termine e se ne depotenzi la portata culturalmente rivoluzionaria – che altrove ha prodotto nuovi saperi e nuove pratiche politiche. Chiariamo subito, dunque, che queer non va ridotto a termine alla moda per (non) dire omosessuale.

Queer è un termine inclusivo, trasversale, che mette radicalmente in questione il binarismo etero/omosessuale e ogni netta distinzione in categorie binarie. Rimanda alla dimensione più radicale di non-normalità, quella di soggettività, corpi e desideri fuori norma. Dal punto di vista politico, spiega Lorenzo Bernini: «Si autonominano queer quei movimenti LGBTI antagonisti che hanno come obiettivo non l’inclusione delle minoranze sessuali nella società, ma la trasformazione della società».

Le pratiche politiche queer – che non adottano strategie precostituite ma decise di volta in volta – non si orientano, per esempio, verso le rivendicazioni matrimonialiste a cui si limita il dibattito in Italia. Al contrario, nel loro contrasto a maschilismo, eterosessismo e omotransfobia, nonché alla sempre più diffusa omonormatività, mettono in atto un’opposizione radicale al regime dell’eterosessualità obbligatoria e cercano nuove modalità di pensiero e di azione. Non è un caso che le teorie queer provengano dalla filosofia femminista degli ultimi decenni (Butler, Kosofsky Sedgwick, de Lauretis, Preciado). Le politiche queer sono intersezionali e, come nel pensiero del precursore Mario Mieli, fortemente dissidenti rispetto alla possibilità di integrazione delle cosiddette minoranze sessuali offerta dal libero mercato, dalla «via capitalista al riconoscimento dell’eguaglianza».

Oggi in Italia, per esempio, la parte trans femminista queer dell’attivismo bolognese, I collettivi di Atlantide, dichiara: «Liberazione queer è lotta di classe». Il testo pubblicato pochi giorni fa – Atlantide va al Pride, ma il Pride dove va – ribadisce che resistere al dominio patriarcale e alla violenza maschile è anche resistere alla violenza invisibile del capitale finanziario, alla mercificazione e alle istanze securitarie delle politiche di austerity.

Che cosa accade intanto a Catania?

Il 28 giugno, a conclusione di un ricco programma di eventi culturali, artistici e musicali nei giorni precedenti, si svolgerà l’annuale manifestazione del Gay Pride organizzata da Arcigay, il cui documento politico quest’anno è dedicato al tema del lavoro. A questa grande iniziativa cittadina si spera partecipino sempre più persone non omosessuali e famiglie eterosessuali, così come avviene in altre città italiane e nelle capitali europee. Perché i diritti sono di tutt*.

Ma i diritti non sono tutto: questa, in qualche modo, la questione che solleva il termine queer. Il neo-presidente di Arcigay, Alessandro Motta, è stato lungimirante (lungimiranza o mera utopia, lo dirà il tempo) nel cogliere e tentare di portare a Catania queste novità teorico-politiche quando, lo scorso ottobre, ha proposto di chiamare QueeRevolution il Comitato Territoriale Arcigay di Catania. Si sentiva il bisogno di questa ventata di novità in Arcigay, tra l’altro seguita dagli incontri Studio Queer con la lettura di testi della filosofa Beatriz Preciado.

Di questa filosofa spagnola e del suo Manifesto contra-sessuale, come di altre filosofe femministe e della messa in questione dei binarismi, si era già discusso all’Università, insieme a numerosi altri temi, nel primo dei sei laboratori del progetto GenderLab organizzato quest’anno dal Dipartimento di Scienze Umanistiche: il laboratorio intitolato Immaginare il genere: maschile, femminile e oltre nella cultura contemporanea.

Già due anni fa, il termine queer era comparso a Catania nella prima edizione dell’evento QueerVeggiePride, riproposto anche nel 2013 col sottotitolo La gaia festa dell’ibridità, un’iniziativa che ha coniugato orgoglio LGBTI con vegetarianesimo/veganesimo, ambientalismo e multiculturalismo e che, pur con certe tinte new-age, ha avuto il merito di mostrare per la prima volta a Catania i collegamenti tra dissidenza sessuale, lotta animalista/antispecista e lotta anticapitalista: contro ogni discriminazione, umana e animale – di sesso, genere, classe, razza o specie.

Infine, una recentissima comparsa del termine queer nel panorama dell’attivismo cittadino è quella del gruppo di studenti universitari* denominatosi Queer as Unict, che ha già organizzato con entusiasmo alcune iniziative: le loro future pratiche politiche dimostreranno la pertinenza o meno del nome rivoluzionario che si sono scelt*.

La diversificazione, o frammentazione, dell’attivismo LGBTI, a Catania come nel resto del mondo, non è una novità: è l’inevitabile conseguenza di ogni attivismo basato su politiche identitarie – come conferma l’esistenza di vari femminismi molto diversi tra loro.

Anche se non tutt* sono d’accordo, il pensiero e la lotta femminista sono fondamentali per le lotte LGBTI e viceversa, per la loro comune messa in questione dell’eteropatriarcato. Già nel ’77 Mieli faceva notare che «i diversi piani della dialettica rivoluzionaria si intersecano: la contraddizione uomo-donna e quella tra eterosessualità e omosessualità s’intrecciano».

È importante dunque la novità di quest’anno nel programma del Pride catanese: un incontro dedicato a Femminismi e Gender Politics mercoledì 25 giugno (ore 18, Cortile CGIL via Crociferi). Un’occasione per riparlare di femminismi a Catania: per sperimentare alleanze strategiche in lotte intersezionali, che sempre più portino il segno delle politiche di donne femministe, lesbiche, bisessuali, trans ma soprattutto, auspico io, più… queer.

A Catania non esiste nessun movimento organizzato di femminismo queer o vicino al queer. Niente di paragonabile a forze radicali sparse per l’Italia, come, per fare solo alcuni esempi, le Mujeres Libres di Bologna, le Cagne Sciolte di Roma, i collettivi studenteschi che hanno organizzato la Primavera Queer a Chieti (lì in collaborazione con l’Università), le organizzatrici della splendida Ladyfest da poco conclusasi a Milano – un Festival Internazionale Trans Queer Femminista di rilevanza europea. Per non parlare del festival Queeristan ad Amsterdam e di altre realtà al di fuori dell’Italia.

Ciò non vuol dire che manchino nuove forze creative a Catania, penso ad una giovane artista visuale che lavora proprio sulle soggettività queer: la fotografa Agata Lo Monaco con il suo progetto realizzato in Spagna, Nosotres – lives beyond binarism, vincitrice dell’Art Factory 2014 a Catania. Un reportage sulle «vite oltre il binarismo», in cui le persone sono ritratte nella quotidianità casalinga, negli ambienti di lavoro, nei rapporti con la famiglia, evitando la riduzione della rottura dei binarismi a performance pittoresca di piume e paillettes.

Il pubblico è abituato a una certa spettacolarizzazione associata al Gay Pride, quegli elementi carnevaleschi e fortemente sessualizzati (corpi seminudi, balli, drag queens) che costituiscono il potenziale trasgressivo e rivoluzionario ereditato dalle radici storiche del Pride: «The First Pride was a Riot», il primo Pride è stato una rivolta, esattamente il 28 giugno del 1969. Si chiamava Stonewall. La visibilità di questi corpi liberi fa ancora paura all’ordine costituito della nostra società. Oggi questi elementi vengono sempre più delegittimati come «carnevalate», anche da alcune parti dell’attivismo LGBTI, che invece vorrebbero una rappresentazione più vicina al «normale», incentrata sull’affettività e sulla richiesta di diritti come il matrimonio. Il fatto è che attorno al Pride convergono, o si scontrano, diverse modalità di autorappresentazione dell’identità omosessuale e diverse concezioni di pratica politica: c’è l’ineludibile questione dei diritti e c’è una tendenza all’assimilazione nel sistema, ma contemporaneamente resiste anche il desiderio della praticabilità di un FUORI (come si chiamava negli anni ’70 la prima associazione del movimento di liberazione omosessuale), di una lotta intersezionale che investa il sistema nel suo complesso, il pensiero dominante e i rapporti di potere in ogni ambito.

La forza radicale del nuovo paradigma culturale e politico del queer è che mette in discussione proprio quel sistema di pensiero binario che, come spiega benissimo incroci de-generi, «oltre a configurare rapporti di potere e di subalternità, è funzionale a normare, addomesticare, controllare, dirigere e, non da ultimo, mettere a valore corpi, desideri, intelligenze, saperi e dunque la vita intera».

Con l’espandersi famelico dell’omomercato (il pink market), il sistema dominante e il capitalismo neoliberale cooptano le istanze omosessuali dentro il modello dignitoso di famiglia felice e consumista come quella del nuovo spot della Findus che si affianca, in un trionfo di progresso liberal, a quella etero del Mulino Bianco.

Il queer resiste a questo addomesticamento normativo del desiderio e impedisce che venga disinnescata la portata destabilizzante della dissidenza sessuale.

Essere bruco, crisalide e farfalla – identità ibride e transitorie fuori dalle logiche binarie – può essere molto spiazzante, molto queer, come notava Alice: era questa la bellezza rivoluzionaria del Paese delle Meraviglie.

Stefania Arcara

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