Artemisia che parla alle donne

Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne”.

Se non fosse per il linguaggio arcaico, questa cruda testimonianza, resa durante un processo, sarebbe attualissima. Come attuale è infatti la storia di Artemisia Gentileschi, la pittrice secentesca che con quelle parole ha raccontato lo stupro subito.
Non stupisce quindi che proprio la storia di Artemisia, attraverso le pagine del capolavoro di Anna Banti, sia stata scelta dall’Unione Donne in Italia per celebrare l’8 marzo. Un evento inserito all’interno della campagna “Stop al femminicidio”, la celebre staffetta partita a novembre del 2008 e che si concluderà nel novembre 2009, dopo aver attraversato l’Italia per sensibilizzare la popolazione al fenomeno, in costante aumento, della violenza sulle donne.

Beatrice Monroy, scrittrice e narratrice palermitana, legata al mondo del teatro e della radio, leggerà “Artemisia” di Anna Banti per un pubblico universitario e non. Ad aprire la rassegna dell’UDI sarà la facoltà di Scienze Politiche, con la prima lettura alle ore 16:00 in Aula B. Si bisserà giovedì 5 marzo con un’altra lettura, ospitata dalla facoltà di Lettere, nell’Auditorium dell’ex Monastero dei Benedettini alle ore 9:00. E per chi dovesse perdersi questi due momenti, sarà possibile ascoltare le letture della Monroy domenica 8 marzo, alle 17:00 su Radio Zammù – 101.00 FM.

Ma chi era Artemisia Gentileschi? Una donna vissuta nella prima metà del Seicento che faceva la pittrice, scelta già non comune e difficile per una donna in quel periodo. Una ragazza affascinante, pregio che non le rese la vita semplice. Nel 1611 Artemisia venne stuprata dal pittore Agostino Tassi, già sposato, e quindi impossibilitato a salvare l’onore della fanciulla con un matrimonio riparatore. Si arrivò al processo, di cui restano gli atti: pagine che colpiscono per le dichiarazioni di Artemisia e per i metodi di tortura usati dalla corte per ottenerle. Un disonore, quello della giovane pittrice, che non avrebbe mai dimenticato per il resto della sua vita, tanto da segnare profondamente anche le sue opere.

Soprattutto nelle sue espressive rappresentazioni delle eroine bibliche, infatti, molti critici hanno visto la necessità di Artemisia di manifestare la ribellione per la condizione della donna e verso i sorprusi degli uomini. Celebre, in questo caso, la sua violenta raffigurazione di una Giuditta che decapita Oloferne. Difficile non intravvedere la stessa decisa Artemisia e un ormai spacciato Agostino.

Per la prima volta, nel 1947 la figura di Artemisia diventa protagonista con l’omonimo romanzo di Anna Banti, scrittrice del Novecento nota per il particolare rapporto che creava con i suoi personaggi. La Banti, infatti, dialoga con Artemisia, intrecciando il passato del personaggio col suo presente del dopoguerra. La figura della pittrice è descritta, in un rapporto dinamico tra ricordo e fantasia, nella ricerca e affermazione della sua vocazione artistica, e soprattutto nella lotta contro i pregiudizi dell’epoca. La storia di Artemisia è ripercorsa, dall’infanzia e l’adolescenza, in tutte le sue tappe più dolorose e tipicamente femminili.

Questa è donna che in ogni gesto vorrebbe ispirarsi a un modello del suo sesso e del suo tempo, decente, nobile; e non lo trova. Una immagine con cui combaciare, sotto il cui nome militare: tanto occorre ad Artemisia sui trentatré anni, un’età in cui il costume e i gusti del mondo cominciano a persuaderla, a incantarla. Ma non è principessa, non è pedina, non è forese né mercantessa, non è eroina né santa. E neppure cortigiana” (pp. 93-94).

Più di trecento anni dopo, Artemisia parlerà ancora a delle giovani donne. Quanto sarà cambiato?

Benedetta Motta

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