«Una cosa divertente che non farò mai più». Questo sarebbe potuto essere il titolo del presente articolo, se non fosse stato già usato per un libro da David Foster Wallace. Un articolo che racconta di quella che non è stata solo la mia prima volta da giornalista all’interno di sala d’Ercole durante una seduta dell’Assemblea regionale siciliana, ma la prima volta che un giornalista entra in sala d’Ercole durante l’Aula negli ultimi venti anni. In realtà, vent’anni è la cifra su cui ci siamo accordati con i commessi dell’Assemblea, visto che nessuno di preciso si ricorda da quanto tempo un cronista parlamentare in servizio non mette piede nell’aula dove si riunisce il parlamento siciliano. E questo è sufficiente a rendere l’idea delle proporzioni dell’evento di oggi. Di solito siamo stati abituati a seguire i lavori dalla sala stampa, quando c’era una sala stampa. Da casa, durante la pandemia. E infine dalla sala rossa, adattata in qualche modo per accogliere i giornalisti, in attesa della fine dei lavori – finalmente, pare, in dirittura d’arrivo – della sala deputata ad accoglierci.
In verità, già dall’inizio della legislatura il presidente dell’Assemblea Gaetano Galvagno aveva dato la propria disponibilità all’accesso dei giornalisti in Aula, ma fino a ieri, quando lo stesso presidente ha ribadito il proprio assenso, nessuno aveva pensato di cogliere l’opportunità. Lo abbiamo fatto allora noi di MeridioNews, dopo una breve consultazione in redazione e subito, senza alcun problema di sorta, il permesso è stato accordato. Nascondere un minimo di emozione sarebbe ipocrita, quindi non lo farò. Per questo c’è stata grande preparazione. Ho studiato tutte le regole che mi sono state comunicate: niente foto, niente video, niente suoneria al cellulare, posso scegliere tra ben sei posti a disposizione, ma solo in un determinato settore e devo uscire se la seduta viene sospesa. Niente di impossibile da seguire.
Non sapendo se avrò a disposizione o meno una presa per il caricabatterie del computer, faccio bene attenzione a mettere sotto carica il tablet, per potere scrivere in presa diretta quanto accadeva durante una giornata che si prospettava importante anche per la politica siciliana, con la probabile votazione del secondo collegato alla Finanziaria. Mi sono anche sincerato che il telefono arrivasse all’appuntamento ben carico, per non rischiare brutte figure in un giorno che nel piccolo della comunità dei cronisti che seguono i lavori dell’Assemblea è comunque un pezzo di storia. Mi si perdonerà il paragone sportivo, ma un conto è commentare una partita vista in tv, ben altra cosa è descriverla dagli spalti dello stadio. E poi è il primo passo verso un’apertura da parte della politica che suona come un inno alla trasparenza, una piccola breccia nell’isolamento dorato dei palazzi del potere e tutta una serie di altre metafore dal sapore vagamente epico del genere.
Prima di entrare, aspettando per una volta anche io il suono della campanella, sono trattato quasi da star. Il segretario generale mi stringe la mano, i commessi mi guardano compiaciuti e io mi dirigo verso l’ingresso con il mio bagaglio di grandi aspettative. Aspettative che, però, muoiono lì. Prima ancora di varcare la fatidica soglia. «Deve lasciare qui lo zaino», mi dicono. «Va bene, lasciatemi solo prendere il tablet» rispondo. «Deve lasciare qui anche quello» la replica. «Poco male, prenderò appunti con il telefono». «No, niente appunti. Neanche su carta. E niente telefono. Se riceve una chiamata deve uscire fuori, se vuole rispondere. Ovviamente accompagnato». Non capisco ma mi adeguo, tanta era la voglia di assistere dal vivo allo spettacolo della democrazia che si compie – esorto dunque i lettori dell’articolo che ho scritto sui lavori d’Aula a non prendersela se i virgolettati inseriti non sono proprio precisi precisi, sono dovuto andare a memoria, ma il senso è quello – Prima però un’ultima raccomandazione: «Non deve fare nessun cenno che possa essere equivocabile». Insomma, non posso annuire, sbuffare, scuotere la testa o altre cose così.
E io già con la mente immaginavo un riottoso esponente dell’opposizione che prende la parola per andare contro tutti e ribadire il suo no al disegno di legge, che però poco prima di pronunciarsi vede me che in lontananza scuoto la testa e allora di botto cambia idea e si allinea al pensiero della maggioranza. La cosa mi fa sorridere. Entro. Una volta dentro mi viene detto che potevo scegliere tra un numero ben più nutrito dei sei posti pattuiti e che i sedili a disposizione non sono quelli che mi erano stati prospettati, ma quelli riservati agli ospiti. Lì capisco: non sapendo bene come gestire la cosa – era una prima volta anche per il pur gentilissimo personale dell’Ars – mi è stato riservato lo stesso trattamento che spetta agli ospiti, con tanto di commesso con gli occhi puntati solo su di me. Alla fine, mi concedo persino la trasgressione di accavallare le gambe. E mi viene concesso.
La seduta – grazie al cielo – è sospesa dopo meno di dieci minuti e alla ripresa verrà rinviata, con Nuccio Di Paola che mette così fine a un’esperienza breve ma intensa. Che non è vero che non rifarò mai più. Diciamo che aspetterò tempi migliori e maggiore organizzazione. D’altra parte, come mi è stato detto prima di uscire, «Se non c’è niente di scritto che ci dica cosa fare, non possiamo improvvisare». Giusto così. Concludo con un breve elenco delle risposte che sono finalmente riuscito a dare ad alcune delle domande che mi sono sempre posto in questi anni da cronista parlamentare: 1. La fastidiosissima campanella che sottolinea i lavori d’Aula, dall’Aula quasi non si sente. È confortante. 2. Mentre un deputato parla, ad ascoltarlo ci sono sì e no un collega ogni cinque – e mi sto tenendo largo nella stima -. 3. Mi sono sempre chiesto se i deputati che durante le dirette vengono spesso richiamati per il loro costante rumoreggiare, in effetti rumoreggiassero davvero così tanto. E la risposta è sì, lo fanno. Di continuo.
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