Arcigay chiede un rifugio per giovani in difficoltà «È un problema che riguarda tutta la cittadinanza»

«Il caso di Davide non è isolato. Non è possibile fare uno studio su quale sia il reale bisogno di aiuto, per ogni ragazzo che chiama ce ne sono tre-quattro che non lo fanno o non possono». La storia del giovane di origini palermitane riuscito a scappare dalla famiglia che non ha accettato la sua omosessualità non è isolato. E per Arcigay «non è un problema da sottovalutare», afferma Alessandro Motta, presidente del circolo etneo. «Siamo stati contattati da un’amica di una ragazza segregata in casa dai genitori a Catania, ma non sappiamo come aiutarla». 

Siamo stati contattati da un’amica di una ragazza segregata in casa dai genitori a Catania, ma non sappiamo come aiutarla

Quando si parla della questione, la voce di Motta è carica di tensione. «È un discorso ampio, che ha a che fare con violenze di stampo omo-transfobico sia dai bulletti che in famiglia – precisa – Difficoltà che partono dall’accettazione di sé». Alessandro Motta lo spiega con un esempio: «Un ragazzo di colore discriminato ha comunque una comunità di riferimento, a partire dai genitori. Per un giovane omosessuale è molto più difficile».

Quello dell’accoglienza di persone in difficoltà, spesso perché discriminate già in famiglia, è «un problema che esiste. Non sappiamo quantificarlo, ma non per questo non è minore e non riguarda solo noi – sottolinea – ma tutta la cittadinanza». Per queste ragioni l’associazione che Motta guida ha cercato più volte con le diverse amministrazioni un contatto, per l’affidamento di un bene che possa servire da rifugio temporaneo. «Poniamo la questione sul tavolo. Assieme alle mille difficoltà che la città vive, gli spazi da destinare a realtà che operano nel sociale e fanno da cuscinetto tra istituzione e società è fondamentale». 

Quello che Arcigay Catania chiede è «che venga riconosciuto il valore del nostro servizio – afferma con fermezza Motta – Pretendo che si trovi per me, come per altre attività simili, degli spazi». Finora l’accoglienza si è basata sul volontariato. E, come insegna la storia di Davide, sulla fortuna. «Non ce la possiamo fare più a mantenere questi servizi soltanto sulle nostre forze – prosegue Alessandro Motta – si deve avere una visione organica e articolata». Un punto a favore della comunità omosessuale catanese è la sua conformazione: «Catania è stata sempre quella più avanti in Sicilia – racconta – C’è una differenza sociologica tra le comunità dell’isola. Qui si è costruito l’humus per farne crescere una più ampia. C’è una rete che per un primo momento può anche sostituirsi al pubblico, ma sempre in maniera temporanea. In un posto dove non c’è questa organizzazione, questi ragazzi cosa fanno?», chiede. 

Non ce la possiamo fare più a mantenere questi servizi soltanto sulle nostre forze

L’associazione partecipa al forum coordinato dall’Arci sugli spazi pubblici. «Pur avendo immobili disponibili, non c’è la volontà politica di aprirli alle associazioni che operano nel territorio». Un tema venuto a galla anche nella questione che ha portato all’affidamento dell’ex cinema Midulla ai giovani dell’orchestra Falcone Borsellino. Arcigay ha una sede, in via Vittorio Emanuele, per la quale paga un affitto. Avere un bene a disposizione «ci servirebbe per ospitare persone in difficoltà e altre milioni di cose, come la questione salute». Un tema che spesso rimane in secondo piano. «A Catania c’è un alto tasso di sieropostivi. La metà di Milano, un dato in linea con le grandi città – spiega il presidente – Dentro una struttura dedicata potremmo fare un checkpoint di formazione, informazione e test rapidi». D’altro canto, sul tema, il primo cittadino Enzo Bianco si è mostrato sensibile. «In due edizioni del Pride ha detto che è la salute è importante: lo dimostri». 

Che il problema non sia di immediata risoluzione, Motta ne è consapevole. «Non è facile da un giorno all’altro, lo so, ma iniziamo al più presto ad attivare un percorso». Per far sì che storie come quelle di Davide finiscano sempre bene. 

Carmen Valisano

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