«La paura dell’Hiv è così forte che le persone non solo preferiscono non fare il test ma evitano addirittura di parlare del fenomeno, e per questo la battaglia che dobbiamo condurre è sia scientifica che politica e culturale». Con queste parole Alessandro Motta, presidente di Arcigay Catania, ha spiegato la motivazione alla base dell’incontro di oggi: parlare dell’Hiv per conoscere il virus, le modalità di prevenzione e le eventuali cure. Non solo sanitarie ma anche sociali. «Spesso notiamo che intorno alla persona sieropositiva c’è discriminazione e ghettizzazione come in una sorta di mitologia dell’untore, mentre allo stesso tempo ci accorgiamo che, nonostante le campagne di prevenzione, molti giovani sono del tutto ignari della malattia». Per combattere l’ignoranza sulla questione delle malattie sessualmente trasmissibili Motta ha le idee chiare: «Spazi cittadini adatti a somministrare il test dell’Hiv in maniera più semplice e contestualizzati magari all’interno di punti di ascolto Arcigay». La richiesta in questo caso è politica e va all’indirizzo del Comune di Catania, partner dell’evento.
La richiesta è infatti presto arrivata al sindaco Enzo Bianco, passato per i saluti di rito, che ha annunciato la propria disponibilità come presidente dell’Anci «a stilare un protocollo nazionale per diffondere su tutto il territorio italiano le buone pratiche». L’impegno annunciato va nella direzione di un sostegno morale alla ricerca di Barbara Ensoli, direttore del Centro nazionale Aids dell’Istituto superiore della sanità, al momento a lavoro su un vaccino di cura della malattia. Ensoli, già membro dell’European researh council, ha quindi mostrato i risultati del vaccino – antidoto finora sperimentato su pazienti volontari in Italia e in Sud Africa. «Sono 30 anni che si cerca di realizzarne uno, io e il mio team lavoriamo sulla proteina Tat, il cosiddetto fattore di invasione e siamo già alle fasi finali della sperimentazione».
Gli studi condotti da Ensoli evidenziano il merito della proteina Tat che svolge un ruolo chiave nel generare risposte immunitarie specifiche anticorpali e cellulari per ridurre le alterazioni del sistema immunitario indotte dall’infezione Hiv. «Questa proteina dà ottime speranze per il futuro ma ancora dobbiamo trovare i fondi per testare la fase dell’efficacia». E ha proseguito: «Purtroppo non ci sono fondi pubblici anche perché si parla di circa 40 milioni di euro, e ci stiamo orientando verso quelli privati, ma ci scontriamo costantemente con le case farmaceutiche».
A fornire alcuni numeri sull’incidenza del virus ci ha pensato Michele Breveglieri, sieropositivo attivo nel campo dell’analisi della malattia dal 2008. «Il numero di nuove diagnosi tra gli uomini che fanno sesso con altri uomini, la fascia maggiormente colpita a livello mondiale, è aumentato del 43 per cento tra 2004 e 2013, con un picco di 9469 nel 2013. Una incidenza del cento per cento si registra soprattutto nell’est europeo, in Irlanda, Cipro e Malta, e del 50 per cento in Belgio, Germania e Slovenia». Un po’ più confortanti le statistiche italiane, ma non per questo positive. Motivo per cui Breveglieri ha insistito sul concetto della prevenzione. «È importante sottolineare che la trasmissione dell’Hiv dipende da comportamenti sessuali individuali, tuttavia a influire negativamente sull’epidemia è la questione culturale dell’omofobia, sociale e interiorizzata», ha detto il consigliere nazionale Arcigay. Che conclude: «Ci vuole una prevenzione combinata fatta di counselling e peer education (riduzione dei comportamenti più a rischio, ndr), strategie biomediche, testing».
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