Arcidiacono e l’alternativa al sindaco Enzo Bianco «Centrodestra unito e niente governo delle bugie»

Il tempo è scaduto. A circa otto mesi dalle prossime elezioni Comunali, per la giunta del sindaco di Catania Enzo Bianco si è già entrati nel momento dei bilanci. Impietosi su tutta la linea, secondo Sebastiano Arcidiacono, alfiere dell’opposizione consiliare. Formazione politica democristiana, nel 2013 era approdato in aula nella lista di Articolo 4, quando ancora la regia del movimento era affidata allo scomparso ex onorevole Lino Leanza. Il docente ha poi da subito assunto un profilo indipendente, arrivando infine ad incarnare «l’alternativa» all’eterogenea maggioranza di centrosinistra. Che questo faccia di lui un possibile candidato sindaco è ancora presto per dirlo – Arcidiacono ci scherza dicendo «Non mi vorranno» – ma certo è che un ruolo da protagonista, nelle manovre che dovranno portare l’opposizione a ricompattarsi, se l’è già preso senza remore. Il bilancio, d’altronde, tocca farlo anche sul suo e sull’operato di chi, al governo della città, non c’è stato.

«Dopo quattro anni di amministrazione, adesso è giusto verificarne i risultati. Dopo quattro anni di consiliatura va fatto lo stesso sulle nostre proposte e la nostra posizione, sempre critica – esordisce il consigliere comunale – Facciamo il punto ma fuori dal palazzo, perché chi si dice indignato va incoraggiato a esternarlo. Vanno fatte emergere tutte le contraddizioni di un governo scadente, sia sui risultati che su contenuti. Difficile fare peggio in tutti i campi. I catanesi devono prendere il coraggio a due mani e reagire».

Chi può cogliere e sposare questo messaggio politico, in un momento così caldo a tutti i livelli? 
«Aldilà di destra o sinistra, auspico che lo colga la gente e ancor più la classe dirigente della città, assolutamente ammutolita finora. Basta pensare al silenzio dalle associazioni ambientaliste sulla differenziata, mai così in basso nella storia della città. Poi ci sono gli imprenditori che restano appesi ai tavoli tecnici sul Piano regolatore, oppure i commercianti sui regolamenti di suolo pubblico e dehors. Davanti a questo mi attendo qualcosa da chi si indigna, occorre passare alla fase due».

Ma la politica è fatta di forze e sigle. Non sarà forse arrivata l’ora che il centrodestra, riunificatosi sulla scelta del candidato presidente della Regione, si sieda al tavolo dell’alternativa di cui lei è di fatto promotore? 
«Abbiamo interloquito con tanti pezzi di città, ed è chiaro che le forze politiche vanno coinvolte, ma soltanto rispetto ai temi. Rischiamo di fare un errore: pensare al consenso per vincere le elezioni. Si devono invece aggregare forze attorno a un’idea di città».

È replicabile, a Catania, il modello Musumeci? 
«Il modello Musumeci è interessante. Guardiamo a quello schema, anche se con contenuti che sono un po’ diversi, più aderenti alla città e con una sensibilità più spiccata su temi come l’inclusione sociale e il lavoro, rispetto al quale il Comune non può fare tutto ma può fare molto».

Tanti suoi colleghi di Consiglio si stanno lanciando nella mischia delle Regionali. Un pensierino lo ha fatto anche lei? 
«Non ci ho pensato, ognuno sceglie il proprio ambito. A questa città mi sono dedicato molto e credo di conoscerla un po’. La politica è passione, e penso che ognuno debba restare nel luogo dove pensa di poter produrre un cambiamento. Se invece la politica è solo ricerca della poltrona, preferisco fare altro. Ho una bella professione che mi riempie di soddisfazioni».

Si traccia spesso il parallelo tra le parabole politiche di Enzo Bianco e Leoluca Orlando. Il sindaco di Palermo da poco è stato premiato dagli elettori. Potrebbe riuscire lo stesso anche al sindaco di Catania? 
«Ogni esperienza va contestualizzata. Con la vittoria del centrodestra alle Regionali, o anche in caso di vittoria dei grillini, Bianco non avrebbe più speranze per un’eventuale riconferma a sindaco. Mi sembra, peraltro, che anche all’interno del Pd non sia particolarmente amato. Davanti a ritorni come quelli di Orlando o Bianco il punto è un altro: quando tornano i settantenni, vuol dire che i quarantenni non sono in grado di poter assumere la leadership. Riconsegnare Catania a chi l’ha governata per quindici degli ultimi venticinque anni significherebbe pensare al futuro guardandosi alle spalle».

E tra i due estremi lei dove sta? Ha grande esperienza, ma non è poi così vecchio..
«Ho 52 anni, ho esperienza ma per il mestiere che faccio ho anche grande attenzione per i giovani. Vengo dall’associazionismo, dalle Acli, poi sono passato alla politica perché solo sporcandosi le mani si può produrre un cambiamento. Mi considero una persona che sta a metà tra i due estremi, ma è anche vero che la questione del rinnovamento non è solo anagrafica. Ci sono giovani che sono più vecchi degli attuali vecchi e viceversa. Ci viene chiesto prima di tutto un cambiamento di metodo: ci vuole il governo della verità. Questi sono stati quattro anni di bugie a tutto campo».

La verità a partire dai conti dell’ente?
«Certamente, la situazione finanziaria è disastrosa. Da poco abbiamo presentato alcune osservazioni sul piano di riequilibrio alla sezione di controllo della Corte dei conti. Lo abbiamo fatto perché alle nostre domande non sono state date risposte. D’altronde, il ruolo del consigliere, quando non viene neanche dato il tempo di leggere le carte, si sta sempre più svuotando di senso. Riteniamo che, stando alla legge, il Comune non potesse permettersi questo piano».

Lei descrive una città nel pantano. Per uscirne ci vorrebbero quindi soluzioni radicali. A Roma, dopo una raccolta firme, si farà un referendum consultivo sulla liberalizzazione del trasporto pubblico. Le crisi di Atac e della catanese Amt sembrano somigliarsi moltissimo. Se domani le chiedessero una firma per un analogo voto liberalizzatore, cosa farebbe?
«La risposta non può essere un sì o un no. Va ricordato però che l’amministrazione Bianco ha revocato la precedente decisione di cedere il 49 per cento dell’Amt ai privati. Hanno bloccato un tentativo di parziale privatizzazione, senza avere però un’alternativa. Di fatto depauperando l’azienda, perché le perdite d’esercizio sono state coperte dal patrimonio della società. Per come la vedo io, un servizio pubblico – che non si misura sugli utili, ma sulla qualità di quanto offre ai cittadini – non può che essere a guida pubblica. Certamente alcune quote possono andare ai privati, per immettere risorse ed efficienza nel sistema, evitando che Amt diventi un poltronificio per gli amici. Poi farei un’altra cosa, metterei tutte le aziende di mobilità della città, compresi i tassisti, intorno a un tavolo. Anche sulla mobilità non c’è stata visione».

I progressi però sembrano esserci stati: la metro che si sviluppa, altre opere inaugurate. 
«Sono tutte inaugurazioni di cose fatte da altri. La visione d’insieme è stata del tutto assente. Basta guardare a com’è ridotto il Brt, una delle cose che funzionavano».

Come si assembla l’alternativa? Ci sarà una pregiudiziale nei confronti di chi è stato al governo con Bianco? 
«L’alternativa ci sarà ed è ovvio che non potrà essere aperta a tutti. Chi oggi è assessore, chi ha o ha avuto responsabilità decisive non può esserci, altrimenti avremmo solo fatto l’alternativa a parole. Prima ancora, l’alternativa dovrà essere nel metodo. Non si può affermare, ad esempio, che con cantieri da due milioni di euro come in Corso dei Martiri si creeranno 15mila posti di lavoro, significa prenderci tutti in giro». 

Parlare di occupazione torna sempre utile nel discorso politico.
«Ma vanno create vere occasioni di lavoro. La grande opera pubblica di cui la città ha bisogno è la prevenzione sismica. Attraverso il Piano regolatore occorrerà pensare alla rigenerazione urbana, per recuperare quello che già è stato costruito».

Giochino della torre. Crocetta o Cuffaro? Chi va giù.
«(ride) Crocetta ha devastato la Sicilia a tutti i livelli, ha distrutto l’idea stessa di politica come patto con i cittadini. Cuffaro ha pagato con grande dignità il prezzo dei suoi errori. Sono entrambi uomini del passato, con Crocetta però non mi candiderei mai».

Più facile. Stancanelli o Bianco?
«Butto giù Bianco ma non perché difenda Stancanelli d’ufficio. L’ex sindaco ha lavorato molto, facendo delle scelte nette e anche per questo non venne riconfermato. Incapace d’apparire, ma lavorava molto».

Lombardo o Musumeci, due uomini di governo catanesi.
«Musumeci è un uomo di destra e io non lo sono mai stato, invece su Lombardo non ho la memoria corta, a differenza di tanti amici e colleghi. Da ragazzino ho cominciato con lui mentre si rinnovava la Dc, quindi tra i due scelgo Lombardo».

Nomi buoni per la sindacatura. Salvo Pogliese o Valeria Sudano?
«Pogliese senza dubbio. A lui ho visto fare una serie di battaglie politiche, di Sudano non ne ricordo».

Francesco Vasta

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