«In questo libro non ci sono partiti, e non ci sono i sindacati, che hanno perso la loro posizione nel conflitto tra capitale e lavoro». Daniele Zito sintetizza così il reportage della giornalista Michela Giachetta Assalto al cielo la classe operaia va sui tetti, viaggio tra le fabbriche italiane occupate degli ultimi anni, ma soprattutto tra le storie degli operai che ne son stati protagonisti, sempre sui tetti. Zito è ricercatore precario dell’università di Catania e, insieme agli ex occupanti e animatori del centro popolare Experia di via Plebiscito, chiuso con un violento sgombero nel 2009, ha voluto fortemente la presentazione di questo libro nella sede dell’Arci etnea. Un volume nel quale sono raccolte le esperienze degli operai di dieci fabbriche, dalla Yamaha alla Merloni. Ma anche quelle delle decine di ricercatori precari dell’Ispra, l’Istituto governativo per la protezione e la ricerca ambientale. Tutte realtà che hanno deciso di stare «più in alto per essere più visibili», soprattutto ai media. «Ho iniziato questo progetto proprio quando è finita l’attenzione mediatica verso queste esperienze. Perché volevo raccontare le storie delle persone, non più i numeri» spiega l’autrice Michela Giachetta.
Storie personali, «di lotta ma anche di affetti disgregati, perché è difficile portare avanti una protesta così per mesi quando sei senza stipendio e hai un coniuge e dei figli da mantenere» spiega l’autrice. Scelte difficili, anche perché sui tetti delle fabbriche stanno in pochi, «al massimo una decina di persone», e i risultati, finita la visibilità mediatica, non sempre arrivano. «Solo due di queste esperienze, quella dell’azienda metalmeccanica Innse e della Conus a Milano, hanno raggiunto i risultati sperati. Ma per gli altri non c’è stata la stessa attenzione mediatica» spiega Giachetta, per la quale gli operai, la maggiorparte dei quali tra i 40 e i 50 anni, lottano soli contro «l’invisibilità». «Le istanze dei lavorratori non vanno più nell’agenda politica tramite i sindacati. E’ il problema di un precariato che non rende riconoscibile il collega di lavoro come uno che ha i tuoi stessi problemi: fate lo stesso lavoro, ma con contratti diversi».
Presente all’incontro anche Giovanni Pizza, ricercatore del’università di Catania e, anche lui, protagonista della stagione dell’occupazione del tetto della facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza di Roma due anni fa. «Noi della Rete 29 aprile non rischiavamo il lavoro, la nostra era una lotta per l’istruzione pubblica. Ma il punto che accomuna tutte queste esperienze è la difesa disperata di diritti del welfare state acquisiti negli anni, che si rischia di perdere oggi» commenta Piazza, che sottolinea come il titolo del volume, Assalto al cielo richiami gli slogan della lotta operaia degli anni ’70. «Ma se una volta lo slogan indicava una voglia di destrutturare il potere, acquisendo nuovi diritti, oggi sembra più una emersione dal sottosuolo, si sale sui tetti per essere visti» spiega Piazza.
Un’analisi condivisa dal pubblico intervenuto, tanti ex militanti dell’Experia, in un dibattito che richiama i termini, ormai desueti, di una sinistra e di un classe operaia che non è più classe. «L’uso della sovrastruttura dei media, come unica forma di protesta e visibilità, rappresenta una evoluzione storica che ha permesso questa situazione, un paradigma dello stato in cui ci troviamo, costruito per anni, e dal quale dovremmo uscire» spiega un attivista dell’ex centro sociale dal pubblico. «Concordo con la tua visione, l’individualismo e la visione del lavoro come un campo di lotta con il collega hanno tolto spazio a quelli che sono i problemi comuni a tutti» commenta un altro. Una soluzione? «Fare rete tra queste esperienze, ma è sempre più difficile» propone Zito, che ricorda come l’esperienza di realtà come i cantieri navali di Trapani lasci ancora qualche speranza a forme di protesta partecipate. «Gli operai hanno proposto di creare una cooperativa per rilevare i cantieri, ma la proposta è stata bocciata e adesso da mesi stanno occupando una petroliera non ancora completa: fin quando resta lì, le loro speranze restano vive» condlude Zito.
Ma se le lotte sindacali e la coscienza di classe non ci sono più, «bisogna chiedersi cosa fare dopo le proteste sui tetti, che sono logoranti dal punto di vista fisico, dove si può andare oltre per avere più visibilità mediatica e far inserire il proprio problema nell’agenda politica?» chiede Piazza. «Penso che la protesta sui tetti, così come quella dei minatori a 400 metri sottoterra in Sardegna siano forme talmente estreme che non ci sia un oltre» commenta l’autrice. Per la quale la risposta potrebbe essere semplice. «Ci sono i fondi sociali europei, milioni di euro che vengono sprecati perché nn utilizzati o utilizzati male. Il primo passo è sfruttarli per creare dei corsi do formazione realmente utili agli operai. Ma per fare questo, la rete è fondamentale» conclude Giachetta.
[Foto di Pippuz]
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