«Non posso escludere che tra Cinà e Di Giacomo non ci sia stata mai alcuna comunicazione». Non può essere assolutamente certa l’ex direttirce del carcere di Tolmezzo Silvia Della Branca, sentita oggi al processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia, sulla possibilità che tra l’ex medico dei padrini di Cosa nostra e il collaboratore di giustizia catanese non ci sia mai stato alcuno scambio durante il comune periodo di detenzione in quel carcere. Arrivata nella struttura nel marzo del 2003, trova già all’interno un reparto destinato appositamente ai detenuti in 41 bis, istituito quattro anni prima, nel ’99. Ma com’è possibile che due detenuti in 41 bis avessero la possibilità di parlare tra loro? Non c’erano dei controlli?
«C’era una postazione di agenti nel corridoio, ricordo che c’erano una scrivania e una sedia, non proprio un box, di fronte alle celle – spiega -. Di giorno c’erano sempre degli agenti, di notte non so se il posto di servizio fosse occupato, c’era meno personale e non posso garantirlo. C’era più personale presente di giorno e meno unità di notte. Anche se le disposizioni prevedevano che il posto fosse presidiato 24 ore al giorno». L’ex direttrice è certa, in ogni caso, che se l’agente si fosse trovato lì in postazione, allora avrebbe sicuramente potuto sentire eventuali conversazioni tra Cinà e Di Giacomo. La posizione dell’agente inoltre non era statica, il personale poteva spostarsi. «Non ricordo di casi di infrazione – ribadisce -. Non è mai stato segnalato che palrassero tra loro, neppure in bagno. Inoltre, Cinà e Di Giacomo non hanno mai fatto parte dello stesso gruppo di socialità».
Ma com’erano esattamente divisi questi luoghi? «Il reparto del 41 bis era una palazzina a parte, separata da tutto il resto dell’istituto e il repartino B, ex sezione femminile, era composto solo da due piccole stanze. Dalla cosidetta rotonda, lo spazio di accesso ai vari reparti, si accedeva da una parte, si entrava in sezione e c’erano le prime due stanze a destra, in fondo la saletta di socialità e la palestra riservata a quella sezione, e poi il box agenti trasformato successivamente in infermeria dopo che è stato fatto quel reparto. Poco prima di tutto questo c’era una porta blindata, sempre chiusa per disposizioni. I bagni – prosegue – erano adiacenti tra loro ma non comunicanti, le stanze erano simmetriche e alle finestre c’erano delle sbarre e dei reticolati. Successivamente, furono messe delle reti anche nelle finestre dei bagni. Non ricordo che mi furono mai segnalate manomissioni, il personale controllava le inferriate tre volte al giorno battendo con dei martelli di gomma per verificare se ci fossero state possibili segature».
Secondo Della Branca, i due non avrebbero potuto neanche scambiarsi oggetti dalla finestra del bagno, «è sempre stato vietato anche fra detenuti dello stesso gruppo. Ci sono stati dei tentativi, ma sono stati subito fermati dal personale – spiega – e il detenuto sottoposto a provvedimento disciplinare». Pero gni reparto ci sarebbero dovuto essere almeno un agente. In caso di soli due agenti a disposizione, ad esempio, si sarebbero divisi tra il piano terra e il primo piano. Le telecamere verranno installate successivamente, a ridosso del trafserimento dell’ex direttrice Della Branca. «Cinà e Di Giacomo non sono mai stati insieme nello stesos gruppo – ribadisce -, che possano avere avuto delle conversazioni fraudolente beffando il personale di controllo…non lo posso escludere in maniera assoluta. Il mezzo di controllo era la professionalità degli operatori. Nel mio reparto non ci furono mai casi di omesso controllo».
«Le raccomandazioni al personale erano frequenti – torna a dire -, io le davo quotidianamente e in questo si impegnavano tutti molto. Ma ripeto, non posso escludere in toto che non ci sia stata comunicazione, specie nelle ore notturne, che il personale era carente». A parte approfittando della notte, i due avrebbero potuto parlarsi dalle finestrelle del bagno? Guardando oggi la planimetria di quel reparto sembra che la distanza sia addirittura inferiore a un metro. Misure di cui la direttrice non sa, però, dire molto. Era lei, poi, a tenere il registro dei colloqui investigativi. Ed è tra quelli che sente parlare, in più di un’occasione, del cosiddetto protocollo farfalla, «ma sui giornali, in tv, non sono mai stata coinvolta per ragioni di servizio».
Dopo di lei, avrebbe dovuto deporre anche Giacinto Siciliano, ex direttore del carcere milanese di Opera, assente per impegni istituzionali. Il suo esame si sposta perciò alla prossima udienza, quella del 3 ottobre, in occasione della quale sarà sentito anche l’ex pm dell’inchiesta Mani pulite Antonio Di Pietro. Non ci sarà, invece, l’ex premier Silvio Berlusconi, che ha fatto pervenire attraverso i suoi avvocati comunicazione della sua assenza a causa di pregressi impegni istituzionali. Il cavaliere è stato intanto nuovamente citato dai legali di Marcello Dell’Utri proprio per il 3 ottobre, in assenza di notifica di ritorno. In quell’occasione la corte deciderà in che veste sarà sentito Berlusconi, sentendo il parere delle parti. Cioè se in qualità di teste puro o di teste indagato per reato connesso, in quanto indagato dalla procura di Firenze per le stragi del ’93. Status, quest’ultimo, che gli permetterebbe di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Oltre alle stragi del Continente e al fallito attentato all’Olimpico l’ex premier Berlusconi, che nella ricostruzione della procura toscana avrebbe agito in concorso con Cosa nostra, sarebbe coinvolto nell’intera pianificazione stragista: quindi anche nell’autobomba contro Maurizio Costanzo e nel mancato omicidio del pentito Salvatore Contorno del 14 aprile 1994 a Formello. Episodio tirato in ballo, alla scorsa udienza, anche dal collaboratore catanese Squillaci, che ha raccontato ai magistrati dei grandi rapporti di amicizia tra i Graviano e Marcello Dell’Utri, della soffiata di quest’ultimo ai fratelli sulla presenza di Totuccio Contorno a Roma, appresa da fonti interne ai servizi segreti deviati, per farlo uccidere.
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