“Aperte Virgolette”

La lingua italiana è qualcosa di molto delicato. A confermare quest’assunto, si sono pronunciate voci illustri che hanno ricordato, per esempio, la povertà lessicale degli italiani; la scarsa fantasia dimostrata da chi usa sempre lo stesso ristretto numero di parole; il tramonto dell’uso di modi e tempi complessi (per esempio, la tendenza a trascurare il congiuntivo, modo del dubbio e della possibilità, forse estraneo a una società che ama le certezze e i dogmi).
Ma la delicatezza dell’organismo lingua è dimostrata, a mio parere, soprattutto dai fatti marginali, minimi, quasi inavvertibili. Per esempio dall’uso improprio delle preposizioni, parti del discorso apparentemente umili (per la monosillabica tendenza ad apparire di striscio), o dall’uso della punteggiatura, altra cenerentola del linguaggio, sulla quale però disponiamo finalmente di un libro di Bice Mortara Garavelli, agile e autorevole insieme.
Facciamo qualche esempio per sottolineare l’importanza di queste cenerentole del linguaggio. Non si tratta, si capisce, di tutelare una presunta (e sempre discutibile) eleganza di stile o un occhiuto rispetto della morfosintassi, ma proprio di cogliere la funzionalità espressiva e l’efficacia comunicativa dei nostri discorsi.
Ho sentito ieri, dai microfoni di una tv locale, un compiaciuto assessore celebrare l’importanza della riforma Moratti degli ordinamenti scolastici. Ma non l’ha chiamata, come tutti fanno e come si dovrebbe fare, “riforma della scuola”; l’ha chiamata “riforma sulla scuola”. Come non pensare che si tratti di un lapsus? L’uso della preposizione “su”, che rende l’idea che qualcosa sovrasti un’altra cosa o qualcuno sopraffaccia un’altra persona, rivela come questa riforma (come tante altre) sia stata concepita e realizzata su qualcosa, e soprattutto su qualcuno: sulla pelle, per esempio, di studenti e professori. Ricordiamolo: il potere si esercita sempre su qualcuno; o, al limite, contro qualcuno.
Un altro esempio, forse più divertente, riguarda l’uso delle virgolette. Anch’esse modestissime, ma traditrici. Oltre che indicare, in ambiti non scientifici, titoli di opere o testate giornalistiche, le virgolette servono a sottolineare un uso particolare di una certa parola o frase: un uso allusivo, ironico, antifrastico perfino. Se voglio dire che ieri ho mangiato molto, posso benissimo scrivere che ho fatto un ricco pasto; ma se scrivo che ho fatto un “ricco” pasto, qualunque persona di buon senso capirà che il mio pasto è stato, al contrario, molto povero e poco nutriente.
Eppure una volta lessi in un cinema quest’avviso: In questa sala è vietato “fumare”. A quale particolare tipo di fumo alludevano quelle virgolette?

Giuseppe Traina

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