Antonio & Cleopatra, ‘una coppia così famosa che mai nessuna tomba potrà chiudere’

Antonio e Cleopatra. Come le tante coppie nate dalla penna del padre della drammaturgia elisabettiana, anche questi due personaggi sono uniti da un legame indissolubile quale l’amore, come vincolo saldo che valica anche le barriere della morte. In questa tragedia però Shakespeare parla di una passione morbosa sbocciata nella senilità e sospesa sulla linea di demarcazione che separa la maestosa Roma imperiale da Alessandria d’Egitto. I due protagonisti personificano una dialettica continua tra i due regni d’appartenenza: lei, Eastern Star, è sovrana di piaceri e trastulli, regina dell’Eros, padrona dell’ozio, mentre lui, il romano discendente da Ercole dovrebbe rappresentare il pragmatismo militare, l’esaltazione del Logos e la sovranità della fatica bellica. Dovrebbe, perché in realtà Antonio a contatto con la regina di Tolomeo è diventato esempio massimo di dissolutezza e somma assoluta di tutti i vizi. Ad esaltare le peculiarità del mondo romano è invece Cesare Ottaviano, inaccessibile per ragioni anagrafiche ma soprattutto perché “casto”, uomo politico per eccellenza, votato all’arte del governo e all’amor fraterno nei confronti di Ottavia. Non solo, dunque, la storia di una coppia, ma di un trio, contornato dalla costante presenza di un seguito di ancelle per l’una e soldati per gli altri. 

Una lode va al regista lombardo Lamberto Puggelli che con arte, sapienza e sobrietà ha saputo rendere merito a questa grande tragedia. Qualche giorno prima delle rappresentazioni ha dichiarato “Dopo aver messo in scena anni fa, in questo stesso spazio, l’amore giovane di Romeo e Giulietta, mi cimento con l’amore maturo, lo tinteggio con i capelli bianchi. Non per questo perde la sua passionalità, è un amore pazzo, pieno di contraddizioni, è l’ultimo amore possibile quindi il più grande. Il mondo egiziano è il passato con la sua cultura e musicalità, rappresenta il femminile, il mondo romano il maschile, terragno e concreto”. Per rimarcare questo contrasto ha anche voluto che in campo egizio tutti i personaggi, compresi l’immancabile eunuco, l’indovino, il messaggero e il contadino fossero recitati da donne, mentre Ottavia, unico personaggio femminile in campo romano, viene interpretato da un uomo (Salvatore Lombardo), scelta quest’ultima che richiama la matrice elisabettiana. Prosegue Puggelli “Non è solo la storia di due amanti, è una tragedia di guerra, le battaglie si susseguono: navali, con i bastoni, a mani nude. Il tutto sottolineato dalla grande voce di Shakespeare. Io sono fedele alla parola e ai classici, non sopporto la moda di attualizzare a tutti i costi. Sono entusiasta di questa messa in scena, il luogo è d’elezione e fortemente evocativo e non nascondo che la presenza dei giovani della scuola che dirigo mi dà carica vitale”. Ad ornare le crude passioni e lotte verbali dei tre protagonisti uno “stormo” di giovani promesse: gli allievi del primo corso della scuola d’Arte Drammatica “Umberto Spadaro” (Alberto Bonavia, Simona Abramo, Giuseppe Balsamo per citarne solo alcuni) all’altezza del calibro degli attori principali, ma anche dello splendido scenario che li ospitava. Conclude: “Al culmine della mia maturità artistica, è il momento di trasmettere la mia esperienza e sapienza professionale. I “miei” ragazzi qui sono scritturati come attori. Si stanno impegnando allo spasimo, anche fisicamente, lo spettacolo prevede notevoli performance. Conclusa questa parentesi riprenderanno con umiltà a studiare”

Studieranno questi ragazzi, carichi di un’esperienza altamente positiva e gratificante, che ha visto il tutto esaurito ogni notte, a dispetto di un tempo non sempre clemente. Ma soprattutto arricchiti dalla valenza dei grandi attori con cui hanno condiviso il palco, se di questo si può parlare in un teatro-non teatro quale il Castello Federiciano. Massimo Foschi è un imperante Marco Antonio, che sa allo stesso modo manifestare la sua fragile volubilità, tutto immerso in una dimensione ludica e libidica. Accanto a lui, ora distesa orizzontalmente alla maniera esotica, ora in piedi seguendo la verticalità tipica dei romani, vi è una splendente Mariella Lo Giudice, a tratti divertente e del tutto convincente nei panni della maestra della finzione: Cleopatra, carnale ed enigmatica, seduttrice professionista che finge e si costruisce di continuo. Del triangolo amoroso fa parte, volente o nolente, anche il “ragazzo di Roma”, un giovane Salvo Piro che dall’alto della colonna di marmo da cui spesso recita, sa trasmettere bene la maestosità di tale personaggio, che in ultima analisi l’ha vinta su tutti. Degni di nota, ancora, sono Alessandro Conte (Sesto Pompeo), Angelo Tosto (Lepido) e Franco Mirabella (Agrippa), insieme ai già citati allievi della scuola d’arte. Un’altra presenza da segnalare nella scena è quella “endogena” del regista stesso. Lui, in abbigliamento sobrio e fuori tempo, ha scelto di essere non solo il creatore, la mente delle scene ma anche il braccio, interpretando Enobarbo, servo di Antonio e raffinato poeta che incarna l’amore. Come un direttore che dirige la sua orchestra dal di dentro, così Lamberto-Enobarbo è il coro che introduce e conduce verso la giusta direzione interpretativa lo spettacolo. 

Lo scenario potrebbe essere elencato tra i personaggi che hanno preso parte alla messinscena, perché emana suggestioni evocative con la sua bellezza naturale. Nella modesta area del cortile del castello è stato ricavato sufficientemente spazio per ospitare un pubblico quasi dentro le scene e per ricreare l’ambientazione di volta in volta richiesta “sulle ali dell’immaginazione”. L’eccezionale cornice storia è stata impreziosita dalle rovine e colonne marmoree, tra le quali spesso si mimetizzavano gli attori, e da un laghetto artificiale. In questo specchio d’acqua c’è chi vi cade, chi si bagna leggermente le punte dei piedi, chi vi gioca, chi si riflette. È acqua pura prima, poi campo di battaglia, infine mischiato con la terra diventa fango e creta, perdendo la sua iniziale lucentezza, come metafora del degenerarsi della vita stessa degli eroi. Grazie ad un accurato studio delle luci, i riflessi dell’acqua sembrano fluttuare sulle spartane mura della fortificazione, mentre attorno ad un piccolo “indegno palco a forma di O” si avvicendava una schiera di gente, in abiti frugali e identificativi dei diversi schieramenti. Tra le varie semplici tuniche, diverse solo per colore, risaltano gli accessori che corredano il vestiario di Cleopatra, degno di una vera regina. 

Due preziosità sono stati i movimenti coreografici curati da Marine Flach e il maestro di aikido Enzo Sicali e le percussioni realizzate da Simone Bruno, Mario Filetti e José Mobilia, adibite a colonna sonora di ogni particolare momento. Unico difetto, se ne vogliamo trovare qualcuno, è stato il prolungato, un po’ stancante perché scontato, epilogo di Cleopatra, a chiusura di una rappresentazione teatrale della durata complessiva di tre ore. A parte questo irrilevante puntualiazzazione, “Antonio e Cleopatra” hanno meritato pienamente la girandola di applausi ed il pienone delle sere passate. E l’invito di Lamberto-Enobarbo di vestire gli attori con il pensiero è stato di sicuro accolto dai presenti.  

Benedetta Motta

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