Antimafia, dieci proposte per migliorare la normativa Dall’aggravante corruzione alla stretta sui subappalti

Di certo ha perso parte della sua aura. Tra scandali, inchieste e rinvii a giudizio, nell’ultimo anno lo zoccolo duro dell’antimafia siciliana ha subito dei colpi durissimi, dalle inchieste sul leader degli industriali siciliani, Antonello Montante, fino all’ex presidente delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, passando per l’ex direttore responsabile di Telejato, Pino Maniaci.

Inchieste giudiziarie che hanno minato non soltanto la credibilità dei diretti interessati, ma hanno, di fatto, travolto un movimento intero, fatto di carriere costruite in nome dell’antimafia, ma anche di tantissime realtà, spesso lontane dai riflettori, che ogni giorno dal basso costruiscono percorsi di legalità e giustizia sociale. Scontrandosi, spesso, con una normativa in parte superata, che non è riuscita a stare al passo con l’evoluzione delle mafie. Dalla corruzione alle misure di prevenzione telematiche, fino alla definizione di concorso esterno, l’aspetto normativo della lotta alla criminalità organizzata secondo molti necessita di una revisione. 

Se n’è discusso in un seminario promosso dal Centro Studi Pio La Torre, dal quale è nato un decalogo di interventi necessari per implementare la normativa antimafia e renderla più adeguata per colpire il fenomeno mafioso e i suoi mutamenti. Una lista di proposte inviata alle maggiori autorità istituzionali, ai sindacati, alle associazioni antimafia.

Nel dettaglio, quali sono gli strumenti normativi meno efficaci? «Uno dei temi più evidenti – spiega a MeridioNews il presidente del Centro Studi Pio La Torre, Vito Lo Monaco – è quello delle nuove mafie, le cosiddette mafie silenti che, in quanto tali, difficilmente si riuscirà a condannare per mafia con gli strumenti normativi attuali. Un problema anche rispetto alla definizione di concorso esterno, sempre per i motivi di cui sopra. Un aspetto sempre più dilagante è quello legato alle nuove forme di corruzione, bisognerebbe introdurre proprio l’aggravante della corruzione al reato di associazione mafiosa, il 416 bis».

E poi ci sono le nuove tecnologie. «È indispensabile – sottolinea Lo Monaco – pensare a delle nuove misure prevenzione telematiche, perché spesso passano settimane prima di avere le autorizzazioni per accedere a conti correnti o banche dati e intanto soldi e documenti sono stati comodamente spostati con un click». Dal globale al locale, un altro argomento spinoso è quello legato alle infiltrazioni nelle gare d’appalto: «Il meccanismo del subappalto – prosegue Lo Monaco – non dà garanzie sufficienti, bisognerebbe trovare un modo per mantenere in capo alla società appaltante le responsabilità in caso di subappalto. Tutto questo, chiaramente, va fatto introducendo a livello locale una mappatura del rischio di infiltrazione mafiosa, che consenta che le imprese possano essere valutate prima». Ancora, secondo il decalogo stilato dal Centro studi, è necessario riaprire al livello europeo il dibattito sull’urgenza di istituire una Procura europea antimafia, antiterroristica e antitratta e definire la governance dell’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati.

L’antimafia torna a interrogarsi e prova a ripartire. «Ma non bisogna dimenticare da dove si è partiti – commenta lo storico Salvatore Lupo -. Il vero problema è sapere cosa può essere l’antimafia in un tempo che non è quello delle stragi, in cui grandi forze morali si sono mosse. Quel momento è ormai passato e adesso bisogna tenere a mente che nel futuro non basterà dichiararsi contrari alla mafia per esserlo davvero. Dopo le stragi è nata una grande ondata, nella quale si sono imbarcati in tanti, ma che comunque è stata un bene, altrimenti saremmo finiti davvero nelle mani di Riina e Provenzano. Ma adesso bisognerà che l’antimafia ripensi se stessa e che cominci a fare a meno di certe investiture da eroe popolare. Di eroi, è il caso di dirlo, ne abbiamo avuti abbastanza, non abbiamo certo bisogno dei loro mediocri presunti continuatori. Se noi facciamo di questa gente dei miti, inevitabilmente saremo esposti alle delusioni». 

Secondo Lupo un primo passo sarebbe «tornare a essere un po’ garantisti, senza arrogarci il diritto di giudicare, dovremmo tornare a fare discussioni politiche, senza coprire tutto con la cappa dell’antimafia, che è stata e resta una cosa importante. Non dimentichiamo mai da dove veniamo – conclude – da un tempo in cui le associazioni di imprenditori dicevano che la mafia non esisteva e che consideravano Libero Grassi un pazzo».

Miriam Di Peri

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