Anis Amri, le tappe siciliane dell’attentatore di Berlino Radicalizzazione graduale nei quattro anni di carcere

«Napoli, Roma, Sud». Il 23 dicembre di un anno fa, Anis Amri è un attentatore in fuga. Si è lasciato dietro la scia di 12 morti sull’asfalto di piazza Breitscheidplatz, a Berlino, dove guidando un tir, il pomeriggio del 19 dicembre, ha falciato decine di persone. Quattro giorni dopo, alle due della notte, il giovane tunisino è in piazza Argentina, a Milano, e chiede a un ragazzo informazioni su come poter lasciare il capoluogo lombardo. Direzione «Sud», dice. Poche ore più tardi Anis Amri verrà ucciso da due agenti di polizia, che lo fermano alla stazione di Sesto San Giovanni. Dove stesse andando esattamente, resta un mistero, anche adesso che la Procura meneghina ha chiuso le indagini, chiedendo l’archiviazione per il procedimento, a carico di ignoti, aperto nel tentativo di capire se Amri avesse avuto una rete di contatti in Lombardia. Per gli inquirenti questa rete non esiste, non c’è mai stata. L’attentatore di Berlino si trovava a Milano non perché cercasse un luogo dove nascondersi, ma solo di passaggio. E infatti, nelle 17 pagine con cui i pubblici ministeri chiedono di chiudere qui le indagini, ci sono più riferimenti alla Sicilia che alla Lombardia. 

È sull’isola che il tunisino ha trascorso gran parte dei quattro anni italiani. Ma a dir la verità, della Sicilia Amri ha visto quasi soltanto le carceri: a cominciare dal 22 ottobre del 2011 quando, ospite di un centro d’accoglienza a Belpasso, nel Catanese, mette a soqquadro la struttura, picchia il custode e, insieme ad altri giovani, dà fuoco ad alcuni materassi. I danni delle fiamme sono ingenti, la comunità è costretta a non accogliere più minori stranieri. Da quel momento l’attentatore di Berlino passa da un istituto di pena all’altro: Catania, Enna, Sciacca, Agrigento e Palermo. 

I magistrati milanesi hanno ascoltato le testimonianze di diverse persone che hanno conosciuto Amri in Sicilia. A cominciare proprio da chi lo ha incrociato a Belpasso. È una suora, ad esempio, a delinearne il carattere taciturno e allo stesso da tempo da leader carismatico rispetto agli altri minori della comunità. Sarebbe stato lui a guidare la preghiera islamica, a decidere gli orari e a fare pressioni sugli altri affinché vi partecipassero. Un episodio in particolare viene messo in luce: quando, insieme a un altro minore tunisino, fa trovare alla religiosa tutti i crocefissi appesi al contrario. Nel periodo trascorso a Belpasso, Amri avrebbe stretto i rapporti più confidenziali, anche tentando un approccio con alcune giovanissime, senza però iniziare relazioni sentimentali. In particolare una di queste ragazze, sentita dai magistrati, sarebbe stata contattata da Amri su Facebook appena due mesi prima dell’attentato e avrebbe ricevuto anche in quel caso delle avances, non corrisposte. La giovanissima non sarebbe stata l’unica, a Belpasso, a ricevere messaggi da Amri dopo che si era trasferito in Germania. Sulla rete di contatti siciliani è aperta un’altra indagine da parte di una Procura dell’Isola, ma i colleghi milanesi sottolineano come non sia emerso alcun elemento pericoloso o rilevante ai fini delle indagini. 

Quello che sembra certo è che Amri sia arrivato a Lampedusa nel 2011 con quelle che vengono definite «iniziali forme di fanatismo religioso», ma che alla sua radicalizzazione abbiano contribuito gli anni di carcere in Sicilia. Prigioni e web sono le due vie principali che conducono verso l’estremismo, secondo una relazione recentemente presentata da un gruppo di esperti al parlamento. Nel caso dell’attentatore di Berlino alcuni testi hanno raccontato come, inizialmente, non manifestasse atteggiamenti ostili nei confronti dell’Italia e che anzi avrebbe in alcuni casi espresso gratitudine nei confronti di un Paese impegnato nel salvataggio dei migranti nel Mediterraneo. Ma anche questo approccio, a poco a poco, è venuto meno. Amri viene descritto da altri detenuti conosciuti negli istituti siciliani come colui che richiamava alla preghiera, uno di loro ne parla come di un vero e proprio imam. Chi non seguiva una condotta religiosa rigorosa, sarebbe stato aggredito e minacciato dal giovane tunisino. Alla fine del periodo di carcerazione, dopo essere stato trasferito al Centro di identificazione di Pian del Lago (Caltanissetta), avrebbe pure esortato altri detenuti a uccidere nel nome di Allah. 

Le tracce della presenza in Sicilia di Amri si perdono alla fine di maggio del 2015. La pratica per il rimpatrio in Tunisia non va a buon fine perché dal paese nordafricano non arriva il riconoscimento necessario. Il giovane viene quindi rimesso in libertà con l’obbligo di lasciare il Paese. Secondo gli investigatori, viene aiutato da alcuni conoscenti ad arrivare in Germania: tra questi ci sarebbe anche Sayed Yacoubi, 36enne tunisino che lo scorso maggio viene fermato ed espulso mentre lascia Catania e tenta di raggiungere la Francia. Un mese prima, la Digos etnea aveva espulso un egiziano accusato di avere avuto contatti con Amri.

Dal 23 maggio le autorità italiane segnalano il nome di Amri tra quelli a cui rifiutare l’ingresso e il soggiorno nell’area Schengen. Nei successivi 18 mesi prima dell’attentato, Amri cambia cinque volte identità, utilizza alias egiziani e libanesi, si stabilisce in Germania dove mette in atto il suo piano omicida. Prima di provare a tornare in Italia. Direzione Sud.

Salvo Catalano

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