C’è la serialità dell’immagine, l’inno ai miti moderni della bellezza e alle icone del consumismo, quei “Miti d’oggi” cari a Roland Barthes e a una società dei consumi che iniziava a scoprire la saturazione, sia nel quotidiano che nei colori delle opere d’arte. È la mostra dedicata al guru della Pop Art Andy Warhol e inaugurata oggi a Palermo a palazzo Sant’Elia. Da domani e fino al 7 gennaio l’apertura al pubblico. In esposizione oltre 160 opere e oggetti d’arte della Rosini Gutman Collection di Riccione, dai lavori più celebri come le lattine di zuppa Campbell ai ritratti di Marilyn Monroe, Mick Jagger, Liza Minnelli, Joseph Beuys, fino al lato più intimo e privato, raccontato dalle 18 litografie che compongono quel ricettario di cucina di Suzie Farkfurt, “Wild Raspberries”, realizzato ”a mano” con l’aiuto della madre Giulia Warhola, che scimmiottava i volumi di cucina francese tanto di moda in quel periodo.
La mostra si intitola L’arte di essere famosi, del resto fu proprio Warhol a inventare il quarto d’ora di celebrità («Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti», aveva detto) e cosi, alimentando un mito che si autocelebra, le star diventano icone e oggetti, da celebrare e consumare allo stesso tempo, simboli della bellezza nel caso di Marilyn Monroe, del benessere, per la Coca cola, o del potere, per il presidente Mao. In una forma seriale che riprende quell’intuizione di Walter Benjamin al centro del suo saggio sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Ma se per Benjamin, marxista, la serialità dell’opera doveva raggiungere tutti, per Warhol diventa al servizio del capitalismo e del consumismo, celebrando cosi anche il trionfo della confezione e della saturazione. Per Warhol un oggetto artistico è fatto per essere riprodotto, consumato, ma soprattutto amato, e la Pop Art per l’artista diventa un modo per “amare le cose”.
In mostra libri, pezzi unici e oggetti realizzati negli anni più importanti: dal 1957 al 1987. Ma i visitatori troveranno anche alcune curiosità più private, come il passaporto o una delle sue prime pagelle, fino al foglio di ricovero ospedaliero dopo l’attentato del 3 giugno 1968, quando la femminista Valerie Solanas sparò a Warhol e al suo compagno, che sopravvissero, nonostante le ferite riportate.
Un percorso che racconta come gli oggetti sono diventati feticcio, in un processo che diverrà tipico nella società occidentale del secondo 900. Con Warhol l’arte muore e risuscita in un continuo processo che che rende il quotidiano univa così folgorante verità. Negli ultimi anni la Andy Warhol Collection e’ stata esposta in numerose citta’ in Italia e all’estero, come in Andorra, Germania, Principato di Monaco, San Marino, Spagna, Svizzera e Taiwan, ma la mostra si è andata arricchendo nelle sue varie tappe. In una sala vengono proiettati documentari e video d’arte, ma ad arricchire l’esposizione è anche un laboratorio di grafica per i più piccoli, aperto alle scuole.
Alla mostra collaborano alcuni allievi del liceo artistico Eustachio Catalano, guidati dai tutor Maria Luisa Scozzola, Lucia Corsaro, Giacomo Badani e Guido La Porta. Quattro le classi coinvolte nelle visite guidate: tra queste, due dei corsi di design, impegnate anche nell’allestimento.
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