Per anni ha abitato in quel luogo che aveva salvato, custode di un patrimonio inestimabile arrivato ai nostri giorni solo grazie alla sua audacia in un’impresa che stava per costarle la vita. Eppure nessun libro di storia riporta il suo nome, né esiste una strada a lei intitolata. Solo una lapide, spesso ignorata, ricorda il suo «virile coraggio». Lei è Andreana Sardo, la donna «dagli occhi chiari» che il 6 aprile del 1849 ha salvato il palazzo dell’università di Catania, e con esso i libri e il materiale scientifico che si trovavano dentro la sede del più antico ateneo della Sicilia.
Durante la dura repressione portata avanti dall’esercito borbonico, Sardo «è riuscita a spegnere l’incendio e a salvare tutti i documenti e gli studi di palazzo Centrale», racconta Elio Camilleri. Ex docente di Storia al liceo Galilei, Camilleri ha dedicato alla donna una delle sue Schegge, episodi poco noti della storia siciliana. Andreana Sardo è nipote di Giovanni Sardo, docente dell’università e poi nominato bibliotecario generale; mentre gli scontri infuriano, entrambi si trovano al sicuro, lontani dal centro della città. Ma quando le viene detto che i roghi minacciano l’edificio, pensa «subito ai preziosi libri della biblioteca, ai laboratori scientifici, a tutti quei materiali didattici che rendevano il Siculorum gymnasium una delle sedi universitarie più prestigiose del tempo», scrive Camilleri. Ma non è solo ai beni materiali che Sardo pensa.
«Catania era stata tra le città più attive nei moti e Giovanni Sardo era un intellettuale. Andreana cresce circondata da idee liberali, respira quest’aria», spiega Emma Baeri, storica e femminista catanese. «L’università di Catania era un posto molto fecondo e Sardo non va a difendere la sua casa, ma va a difendere quel luogo di dibattito». Via Etnea è un vero e proprio campo di battaglia, ma Sardo riesce a raggiungere il capitano delle truppe borboniche, Nunziante, e lo convince che «uno dei luoghi più importanti per la cultura del regno non può essere distrutto da un incendio appiccato dalle sue stesse truppe», sottolinea Baeri. L’ufficiale «le affida un manipolo di soldati e assieme spengono l’incendio – continua la docente – Pare che lei stessa abbia pagato in maniera fisica lo sforzo, restando gravemente ferita». Grazie ad Andreana Sardo vengono salvate la biblioteca Ventimiliana e quella Universitaria, oltre ai gabinetti di Fisica, di Storia naturale, Anatomia e l’osservatorio meteorologico. «Le fu riconosciuta, in seguito, la reversibilità della pensione dello zio e il permesso di abitare nei mezzanini dell’angolo nord-ovest – si legge nella scheggia di Elio Camilleri – e allora, ogni sera, le portavano le chiavi di quella biblioteca che lei stessa aveva salvato dalla distruzione».
«Il rettore Guido Libertini, cento anni dopo, le dedica una lapide», aggiunge Emma Baeri. Una targa in marmo nel portico di palazzo Centrale, davanti alla quale gli studenti non si soffermano più di tanto, nella quale si celebrano «virtù di zelo» e «virile coraggio». La docente, si sofferma su uno degli aggettivi utilizzati: «Io direi che il suo è stato un femminile coraggio, non virile», precisa. Proprio da quella lapide è partita una lunga riflessione assieme al gruppo Le Voltapagina fondato anche da Emma Baeri. La figura di Andreana Sardo, così, è tra quelle inserite nella mostra Anche la cancellazione è violenza, che racchiude le vite di donne fondamentali per la storia, «ma messe da parte, tolte dai libri di storia dove dovrebbero stare – afferma – Per noi è importante che queste donne, alle quali sono dedicate alcune monografie, entrino nel senso comune». La storiografia della città, per esempio, «dedica solo due righe ad Andreana – lamenta la docente – ma secondo noi dovrebbe essere ricordata come un’eroina del Risorgimento».
Assieme alle Voltapagina Emma Baeri ha chiesto «al rettore e alla direttrice della biblioteca che la sala di lettura venga intitolata ad Andreana Sardo. In fondo – prosegue con un sorriso – tutti i libri che sono lì, il patrimonio di ricerca, sono stati salvati da lei. Ha fatto sì che per tutti i secoli a venire ci fosse concesso di continuare a studiare quei libri in quel luogo». E conclude: «La memoria struttura l’identità: Andreana e le altre donne devono stare nei libri, andare nelle scuole, confortare le ragazze, dare loro forza».
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