Ancora disperso il pescatore catanese a Portopalo Familiari: «Ormai rassegnati all’idea che sia morto»

«Quando esci in mare lo sai che forse non torni». I parenti di Giovanni Costanzo, il pescatore 61enne disperso al largo di Portopalo da mercoledì, sono rassegnati. Sanno che l’uomo, che avrebbe compiuto 62 anni tra pochi giorni, probabilmente non tornerà. «Dev’essere rimasto dentro la barca», dicono. Il peschereccio Santo I, un’imbarcazione di 16 metri con la quale era andato a fare pesca a strascico nel Siracusano, partendo all’alba dal porto di Catania. Con un equipaggio composto, in totale, da tre persone: oltre a Costanzo, un pescatore catanese e uno di origini tunisine. Gli ultimi due sono stati tratti in salvo dagli uomini della guardia costiera, usciti per le ricerche. «Vogliamo solo che continuino a cercare anche Giovanni – continuano i familiari – Ci siamo rassegnati all’idea che sia morto, ma vogliamo solo un corpo a cui poter fare un funerale».

Vogliamo che continuino a cercare Giovanni

Una famiglia di pescatori da tutta la vita. Cinque fratelli, tre sorelle e una tragedia vecchia di 35 anni: la morte, sempre in mare, di uno di loro. «Ne doveva fare 22 quando se l’è portato il mare», raccontano i parenti. Sono tutti riuniti davanti agli uffici della Capitaneria di porto. Sono arrivati a dare indicazioni alla guardia costiera, per spiegare dove di preciso Giovanni Costanzo era andato a pescare. «A Catania non c’è niente, bisogna arrivare fino a Portopalo per prendere qualcosa – sostiene un cognato – Quella mattina si sapeva che c’era un poco di cattivo tempo. Ma che fai? Non esci? Quelle barche reggono fino al mare forza otto, quel giorno era forza sei. Però in questo lavoro non si può mai dire: un colpo di vento, un’onda che ti prende male e finisci sott’acqua».

L’onda che avrebbe fatto inabissare il Santo I sarebbe arrivata intorno alle 10.30 del mattino. Più o meno a metà della battuta di pesca iniziata alle prime luci dell’alba. Il peschereccio si dovrebbe trovare a circa 60 metri di profondità, a otto miglia al largo della costa siracusana. «Il relitto non si deve essere spostato di tanto – continua la famiglia Costanzo – Anche se ai due pescatori che erano sulla barca li hanno trovati uno a dieci e l’altro a 18 miglia al largo. Erano attaccati a pezzi di legno, sono stati più fortunati». «L’unica cosa che possiamo fare è stare qua e sperare che non interrompano le ricerche. Noi lo sappiamo che ci sono tante cose a cui pensare, che la guardia costiera ha cose da fare che non finiscono con un peschereccio affondato. Con tutti quei migranti è giusto che vadano a salvare la gente, però è anche giusto che noi possiamo dare una sepoltura a Giovanni».

Una richiesta che arriva proprio nei giorni in cui al porto di Augusta vengono recuperate le salme delle centinaia di migranti morti nel naufragio del Canale di Sicilia, il 18 aprile 2015. «È urgente fare un fondo per le vittime del mare, in modo che in queste occasioni ci siano delle regole e degli aiuti certi», afferma Fabio Micalizzi, presidente regionale della Federazione armatori siciliani. «È morto un pescatore, che usciva tutti i giorni in mare per venti, trenta euro. Adesso la famiglia come fa? Devono fare debiti con gli usurai per un funerale? La morte è uguale per tutti, non ci possono essere vittime di serie A e vittime di serie C – conclude Micalizzi – Intanto si deve recuperare quel corpo, poi si deve trovare il modo per regolare tutto questo. Ci sono tanti lavoratori che muoiono in barca, lo Stato deve vedere anche loro».

Luisa Santangelo

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