Papa Ratzinger ha recentemente definito “amore debole” quello che unisce le coppie omosessuali. Ha invitato a evitare la “confusione” tra il matrimonio e “altri tipi di unione basate su un amore debole” (Corriere, 11 maggio 2006). L’Arcigay ha immediatamente protestato per tale dichiarazione parlando, “con il dovuto rispetto per il leader religioso”, di “offesa gratuita”.
Usciamo per un attimo dal nostro piccolo cortile italiano, all’interno del quale le parole del Papa riecheggiano minacciosamente, poiché pochi qui ricordano che Ratzinger è il rappresentante della gerarchia cattolica, e non del cristianesimo nel suo complesso. Le altre chiese cristiane che cosa dicono?
Nel cristianesimo, come in gran parte delle altre grandi religioni, esiste un’ampia gamma di posizioni che si collocano diversamente su una linea ideale ai cui estremi stanno liberalismo e fondamentalismo. Ricordiamo, ad esempio, che oggi in 9 paesi del mondo, di religione prevalentemente islamica, l’omosessualità è punita con la pena di morte. Se poi, provocatoriamente, volessimo considerare la psicoanalisi e la psichiatria una delle grandi “religioni” contemporanee dell’occidente, notiamo che solo 16 anni fa l’omosessualità è stata cancellata dall’elenco ufficiale dei disturbi mentali dall’Organizzazione mondiale della sanità (il 17 maggio scorso si è celebrata la Giornata Mondiale contro l’Omofobia, istituita per ricordare questa occasione; vedi qui il video in inglese con sottotitoli italiani).
Per attenerci al cristianesimo: ecco che cosa dichiaravano quasi dieci anni fa i protestanti della Religious Society of Friends, meglio conosciuti come quaccheri: (traduco dal documento originale in inglese che si può trovare qui): “Approviamo pienamente le unioni matrimoniali di coppie dello stesso sesso. (…) Accogliamo integralmente queste coppie come parte della nostra comunità. Sappiamo che il loro legame è profondo e che sono genitori amorevoli. Sono essenziali alla forza della nostra comunità e sono spesso modelli di amore e altruismo. Oltre a offrire a queste coppie il nostro sostegno spirituale, riteniamo importante che i matrimoni omosessuali abbiano un riconoscimento civile uguale a quello concesso alle coppie eterosessuali” (Dichiarazione del Meeting della Religious Society of Friends, Seattle, Washington, febbraio 1997).
Il cristianesimo, dunque, non è di per sé ostile all’omosessualità, anzi, alcune confessioni protestanti, oltre al caso dei quaccheri (che, va notato, è un caso eccezionale), sono ispirate a principi di accoglienza e rispetto per i fedeli indipendentemente dall’orientamento sessuale. Se spostiamo i riflettori mediatici dalla Città del Vaticano e li puntiamo su luoghi e persone meno noti e meno visibili, scopriamo che anche a casa nostra, all’interno del cattolicesimo italiano, ci sono posizioni non “allineate”, ispirate ad uno spirito diverso da quello che informa le parole del Pontefice. 
Lo scorso marzo è stata scritta una “lettera aperta” rivolta sia ai vescovi che “agli uomini e donne della società” da 39 preti (di cui almeno due siciliani), in risposta ad un altro duro pronunciamento del Papa, l’esclusione dagli ordini sacri di coloro che “praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay” (in altre parole, un gay non può essere prete). Con tono rispettoso ma sofferto, questi preti cattolici dichiarano di essere omosessuali e sottolineano che ciò non ha impedito alla loro vita di essere costantemente “animata dal dono di tutta la persona alla Chiesa e da un’autentica carità personale”. Sullo stesso argomento Don Franco Barbero – un prete di Pinerolo ridotto nel 2003 allo stato laicale (per avere benedetto unioni gay) dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex-Sant’Uffizio, ex-Inquisizione) Joseph Ratzinger – si chiede se non si tratti dell’ingiusta cancellazione di un fatto evidente: che “milioni di persone omosessuali ogni giorno svolgono con amore e competenza, con dignità e fecondità, il compito di genitori, di educatori, di insegnanti, di terapeuti, di medici, di onesti lavoratori nelle più variegate aree dell’esistenza quotidiana, culturale, professionale, artistica, religiosa”.
Come nota Augusto Cavadi (La Repubblica di Palermo, 12 marzo 2006), “il caso dell’esclusione degli omosessuali è solo la punta estrema di una politica ecclesiale che enfatizza in maniera abnorme la dimensione affettivo-sessuale delle persone. In questa logica rientra la rigidità delle stesse gerarchie cattoliche nei confronti dei coniugi divorziati o separati ma conviventi con nuovi partners o risposatisi con rito civile, che, come è noto, non possono partecipare alla mensa eucaristica”.
E, tra parentesi, non bisogna dimenticare che la chiesa cattolica, a differenza di altre chiese cristiane, persiste nel vietare alle donne l’accesso al ministero sarcedotale (in altre parole, una donna non può essere prete). Sarà forse perché la loro vocazione è debole?
Per tornare alle dichiarazioni di Papa Ratzinger sull’“amore debole”: può una persona, sia essa Papa o autorità massima in qualunque campo, giudicare l’amore che un’altra persona (gay, divorziato/a) prova? E come può l’amore essere definito “debole”? Si possono fare classifiche o stabilire, partendo da riduttive logiche binarie, diversi “gradi” dell’amore? Come fa il Papa a conoscere l’intima verità del cuore, della vita condivisa, del desiderio e del senso di unione, di altre persone? Secondo lo stesso Vangelo, per non parlare di tutta la filosofia occidentale e delle religioni orientali, l’amore è un valore assoluto.
Tradizionalmente, la chiesa cattolica si è pronunciata su questioni relative alla sessualità, alla procreazione, al peccato… Ma che la chiesa, nella persona di Joseph Ratzinger, si metta a giudicare l’amore, questa è una novità sulla quale riflettere. Che cosa direbbe il Figlio di Dio se, tornato sulla terra, volesse rispondere alle parole del suo vicario? Forse: “Ora dunque queste tre cose rimangono: fede, speranza e amore; ma la piú grande di esse è l’amore” (1 Corinzi 13:13)? Oppure: “Tutte le cose che fate, fatele con amore” (1 Corinzi 16:14), o ancora: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Giovanni 4:8). E, a proposito della debolezza, forse ricorderebbe a Ratzinger che “Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti” (1 Corinzi 1:27).

Clarissa Dalloway

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