‘Peccato sia una sgualdrina’ (It’s a pity she’s a whore) è il terzo spettacolo della sezione Echi del Novecento del Teatro Stabile di Catania ed è andato in scena all’Ambasciatori fino al primo febbraio scorso. Il capolavoro di John Ford è un dramma passionale di amore, vendetta e morte, ambientato a Parma. Peculiarità del teatro elisabettiano infatti è quella di usare l’Italia come scenario di delitti e rivalse. Lo spettacolo allestito dalla compagnia dello Stabile del Veneto e portato in tournè in tutta Italia ha riscosso anche a Catania un buon successo.
Un solo atto, senza intervallo ma dal ritmo abbastanza serrato grazie a cambi di scena veloci e collegati attraverso dei richiami spesso verbali, che non rendono necessario interrompere l’ora e mezza di rappresentazione con delle pause.
L’opera si presenta nella realizzazione scenica a struttura ciclica, con un inizio ed una fine accomunati dai toni mortuari, sottolineati dall’incessante geremiade di fondo e da una processione di figure nere incappucciate (echi delle arcane funzioni religiose pasquali dell’entroterra siciliano, così come di tanti altri paesi d’Italia fino alla tipicità della Semana Santa andalusa).
La trama narra di come Giovanni (il giovane ed energico Stefano Scandaletti) cerchi, inutilmente, di persuadere un frate della legittimità della sua passione per la sorella Annabella (la brava ed equilibrata Gaia Aprea), che da questa viene ricambiata anche fisicamente. Ma rimasta incinta, la ragazza decide di sposare Soranzo (ben interpretato da Max Malatesta), uno dei suoi corteggiatori, per rimettere a posto l’ordine sociale. L’epilogo non è affatto felice però in quanto il servitore di Soranzo scopre il segreto incestuoso e progetta di vendicare il padrone. Mentre si prepara una grande festa Giovanni è trafitto dalla collera quando la sorella si dichiara pentita e decisa a interrompere ogni rapporto con lui. Accecato dalla gelosia e dall’ira, quindi, progetta la sua vendetta: dopo avergli mostrato il cuore di Annabella infisso nel suo pugnale, uccide Soranzo. Se non potrà essere suo, quel cuore, non sarà mai di nessun altro.
La storia cupa tenebrosa ed erotica narrata da Ford non è sicuramente un testo facile da rappresentare, ma la regia di Luca De Fusco è riuscita a rendere bene i toni e la drammaticità dell’opera. A contribuire al buon esito anche la scenografia curata da Antonio Fiorentino, che risulta allo stesso tempo semplice ma d’effetto. Adagiato sul palcoscenico un enorme specchio dalla cornice cangiante, ora color oro ora argento. È questo a fare da pedana in tutte le scene e a contribuire a rendere la platea partecipe e stupita, grazie al gradevole gioco di rimandi che si viene a creare sul soffitto della sala. Nei momenti in cui si consuma la passione un telo rosso è disteso sopra la cornice, qui dorata, ed il riflesso è ramato, come a richiamare sul tetto un inferno di fiamme e fuoco in cui si stagliano le sagome dei personaggi.
Degni di nota i costumi curati da Maurizio Millenotti (Parlami d’amore, Si può fare, Cento chiodi) non a caso più volte nominato agli Oscar (Otello, 1986 e Amleto,1990): azzeccati sia quando si tratta della vestaglia della protagonista nelle scene casalinghe, che nell’episodio delle nozze in cui tutti i personaggi sul palco indossano le tonalità del rosso, come la passione divorata e del nero, presagio funesto di un’imminente sciagura.
La tragedia elisabettiana del 1633, presto dimenticata perché messa al bando a causa del suo contenuto scandaloso, fu riscoperta solo verso la fine del secolo scorso da Maurice Maeterlinck. Da allora ha conosciuto numerosi allestimenti, tra i quali quello di Luchino Visconti al Théàtre de Paris nel 1961 con Alain Delon e Romy Schneider. Tra le versioni italiane, dove il titolo tratto da una frase del copione (in originale “It’s a pity she’s a whore”, ossia “Peccato che sia una puttana”) è stato attenuato col termine “sgualdrina”, quella di De Fusco è da considerarsi una delle più riuscite.
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