«Abbiamo dimostrato che un’altra Catania è possibile». La chiusura della campagna elettorale di Emiliano Abramo è affidata a un discorso di dieci minuti davanti a una platea di amici e candidati. L’età media è sui quarant’anni, in una stanzetta accanto al palco — nel comitato elettorale di via Francesco Crispi — ci sono parecchi bambini che sgranocchiano patatine e bevono Coca Cola. «Abbiamo deciso di finire questo percorso con semplicità, come lo abbiamo iniziato — dice Abramo al microfono — Senza grandi concerti ed eventi incredibili».
«Questa è Catania — riprende il candidato, citando il nome della sua lista — quella che è capace di parlare di questione morale, che sa avvicinarsi ai cittadini, che conosce le situazioni di povertà e che è disposto a mettersi in gioco per cambiare davvero. Non un partito, non un’alleanza, ma una lista veramente civica che vuole guardare alla buona politica della città, quella vera, con cui costruire un percorso inclusivo, ma con un’identità ben chiara». Il cambiamento è al centro di un discorso accorato, tra gli applausi scroscianti e sotto lo sguardo vigile dei suoi candidati più noti: da Paolo Castorina a Marcello Failla, passando per Emanuele Giacalone e Orazio Serrano, gli unici citati nel discorso «sperando che non si offenda nessuno».
«Qui, in questo comitato, sono venute le persone con le carte in mano, per parlare dei grandi scandali di Catania e per raccontare le possibili soluzioni – continua Abramo – Per questo dobbiamo tutti ostentare la dignità di questo progetto. Al di là del risultato che sarà, e sarà un bel risultato, abbiamo spiegato alla città e a noi stessi che le cose non sono destinate a rimanere come sono. Abbiamo spiegato che si può avere la forza di assumersi delle responsabilità». Col silenzio elettorale che incombe, Abramo lancia un appello ai suoi elettori e alla squadra: «È Catania significa comprendere che la città ha iniziato a cambiare perché noi siamo presenti – arringa – Anche se alla mezzanotte ci sarà il silenzio, siamo tutti chiamati a invitare ad andare a votare. Domenica, prima di andare al mare, ditelo che bisogna andare alle urne. Non è possibile più lamentarsi se non c’è un impegno. Noi abbiamo studiato, ci siamo preparati, non ci siamo improvvisati».
Dal muro all’ingresso del comitato, una frase di Martin Luther King racconta l’idea: «Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è sicura, né conveniente, né popolare – recita – Ma bisogna prenderla perché è giusta». Così, nella sua narrazione, è l’impegno del capo della comunità di Sant’Egidio: «La storia non la si può soltanto leggere – conclude Abramo – La si può anche scrivere. E c’è una storia che è fatta di gente comune, che supera la mentalità del farsi gli affari propri e che pensa che la gente si somma, non si divide. La città che ci è stata sottratta, oggi, noi ce la riprendiamo».
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