Amica arte? Catania ci prova con l’expo

«Amico mio, partiamo in viaggio, guidati dai tuoi pennelli, alla ricerca di paesaggi immaginari, spezzando il tempo e lo spazio… Voliamo non importa dove, seguendo nuvole leggere, attraversiamo l’arcobaleno… I colori s’agitano, poi si allontanano gradualmente. Amico mio, cominciamo il nostro nuovo viaggio alla ricerca di paesaggi fantastici creati da te incantatore, verso un paradiso pieno di sogni (Keiko Asako)». “Amica nostra”, Arte Fiera, hai rappresentato proprio un labirinto di colori, forme e sogni che provengono da ogni parte, oriente e occidente, portando altrove attraverso ogni singolo sguardo la nostra immaginazione. Per esempio Keizo Morishita ci porta sulle isole dell’arcipelago giapponese, paesaggio simbolico del suo originario mondo di memorie.

«Se ogni nostro giudizio sull’arte – ha sempre sostenuto uno storico giapponese, Yukio Yashiro – si basa su una valutazione della sua fondamentale qualità di bellezza, non vi dovrebbe essere differenza alcuna tra oriente e occidente», pur riconoscendo le sostanziali differenze di modi e valori di vita, di significati culturali. E’ evidente che questo richiamo alle “costanti” universali dei valori estetici non deve essere inteso come un pericoloso invito ad abbandonarsi a suggestioni formalistiche, ad adesioni di gusto, ma soltanto come sprone a conoscere, sotto il segno dell’arte e della bellezza, valori umani comuni entro le differenti strutture storiche del linguaggio.

Quanto sopra accennato è stato ripreso, seppur in altri termini, dal critico d’arte Vittorio Sgarbi, durante l’inaugurazione della quarta edizione dell’expo di arte moderna e contemporanea alle Ciminiere. Per l’occasione ha tenuto una vera e propria lezione sullo stato dell’arte contemporanea, verso cui l’interesse sta subendo un progressivo aumento. Sgarbi ha definito Catania il luogo perfetto per una mostra mercato dedicata all’arte contemporanea: «Catania è una città moderna, sia per la sua rinascita all’indomani del terremoto che l’ha colpita nel diciassettesimo secolo, sia perché è da considerarsi il primo presidio della Sicilia verso la penisola, con una perfetta corrispondenza con Milano».

I quadri esposti sono di stile vario. Ma che ne pensa Sgarbi dell’accostamento forte tra arte classica e fumetti? «I fumetti – ci risponde al volo il critico, in mezzo alla folla – sono anch’essi delle grandi opere d’arte. Per certi versi antichi padri dei moderni supereroi». Si pensa, di solito, che il fumetto sia facile, mentre l’arte è difficile. E poi il fumetto è loquace, mentre l’arte tace. E Silvio Fiorenzo (uno dei numerosi espositori) ha fatto della contaminazione fra linguaggio alto dell’arte e linguaggio basso, popolare del fumetto il centro del suo mondo creativo, dando vita ad una specie di moderno ouroborous  in cui le immagini si avvolgono su se stesse senza soluzione di continuità. I personaggi che affollano le sue tele colpiscono innanzitutto per la loro apparente incongruenza semantica; però in realtà l’artista lavora, ricreando, con i colori acrilici, gli stessi chiaroscuri attenti ed emozionati, le medesime luci partecipate e metafisiche.

E che dire di Rabarama, artista romana conosciuta in tutto il mondo per le sue sculture, da quelle titaniche (una sua scultura è stata voluta nella piazza del municipio di Shangai) a quelle minuscole? Le sue opere fondono le forme della scultura all’arte della ceramica e del mosaico. La pelle di questi personaggi, dipinta con multicolori e intrecci diversi, le labbra carnose e gli occhi spalancati sul mondo ci ricordano quanto sia bella, e diversa nelle sue mille sfaccettature, l’arte. Non ci sono pieghe, rugosità, imperfezioni… l’arte è arte. «Qui ai piedi dell’Etna – ha detto Sgarbi – sembra che le cose possano tornare al loro posto conservando un mestiere che è dei pittori e degli scultori e non di chi fa delle performance artistiche. Dobbiamo avere rispetto dunque per questi capolavori d’arte contemporanea».

Infine il critico ferrarese e l’architetto Campo, anch’egli ospite all’inaugurazione, hanno sottolineato che «affinché i progetti durino nel tempo bisogna capire da dove si sta partendo e dove si vuole arrivare». Quest’ultima frase ci svela, forse, quante incertezze, quanta paura, quante difficoltà, ma anche quanta preparazione ci deve essere dietro un’idea. Si è posto l’accento sui  progetti interni ai musei e alle gallerie, ma soprattutto sull’ipotesi di fruizione dell’opera d’arte all’interno del tessuto urbano: la scultura e la pittura vissuta fuori dai sistemi espositivi tradizionali. In merito a ciò il primo passo è stato quello di collocare in piazza Teatro Massimo cinque sculture monumentali dell’artista Rabarama (allestimento curato da Gabriella Trovato). Subito deturpate, forse perché i giovani di questa città non sono abituati a stimare le bellezze dell’arte rese fruibili a tutti.

E così da questo episodio di vandalismo sono nati tanti spunti di riflessione. Per esempio durante il convegno “Arte e città. Segnali artistici nel tessuto urbano”, svoltosi sempre alle Ciminiere in occasione della fiera, il docente di storia dell’architettura all’Università di Parma, Fabio Casentino, ha esordito dicendo: «Ci tengo a precisare che ogni città nei suoi diversi aspetti è una città d’arte. Il rapporto tra città e arte è strettissimo in Italia. Per questo motivo bisognerebbe educare i giovani a stimare le opere d’arte senza scriverci su come fossero muri qualsiasi, anzi bisognerebbe proprio imparare a capire che non va scarabocchiato nulla. L’arte non è un foglio di carta su cui disegnare qualsiasi cosa venga in mente, ma è uno strumento di comunicazione con cui interagire in modo intelligente». «Bisogna lasciare segnali sul territorio per comunicare l’arte – ha ribadito con forza Antonio Ognisanto, direttore artistico della fiera – perché la scultura e la pittura sono elementi fondamentali del nostro essere».

E quando il nostro essere non percepisce l’arte come tale (forse perché non gli è stato insegnato o non si ha voglia di apprendere)? Ecco un segnale, anche questo “tangibile”, dell’offensiva contro vandali e violenti, rappresentato dal grande striscione che campeggia da qualche giorno sulla facciata del teatro e sul quale è scritto: “Chi sporca il bello è senza cervello”.

Cosentino ha poi illustrato alcune opere perfettamente integrate nel luogo in cui sono state collocate (ponte sull’autostrada del sole, porta del Belice…), ma soprattutto si è soffermato sul caso di Gibellina, la cittadina situata nella valle del Belice, definita «fortunata» perché interamente ricostruita all’indomani del terremoto del 1968, ma oggi diventata una città quasi deserta.  

Un intervento altrettanto interessante è stato quello di Ornella Costanzo dello “Studio Azzurro” (che si occupa di ricerca artistica) che ha spiegato quanto sia importante la tecnologia per far avvicinare la gente all’arte: «Tecnologia che utilizza tramature specifiche sotto il pavimento, sulle pareti o sui tavoli, sensori visivi e sonori. Si tratta di videoinstallazioni rese verosimili dalla scala adottata di uno a uno: persone, animali e oggetti sono di dimensioni reali. Gli allestimenti museali con queste tecnologie ci permettono di raccontare la memoria di un luogo, di una persona, facendo vivere ai fruitori tante emozioni. Noi cerchiamo di costruire un contesto comunicativo che veda un’attiva e significativa partecipazione dello spettatore all’interno di un impianto narrativo, ispirato a una multitestualità e ad una continua oscillazione tra elementi reali e virtuali».

Stefania Oliveri

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