Altri suicidi per l’indipendenza del Tibet. Similitudini storiche con la Sicilia….

“Libertà va cercando, ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”, affermava Catone nel I libro del Purgatorio della Commedia dantesca: non v’ha visione più limpida della libertà politica individuale e collettiva, dell’episodio in cui il simbolo della incorruttibilità si uccide per non cadere nelle mani del tiranno. E la strage, nel XXI secolo dell’era cristica, continua. Altri tre monaci tibetani si sono suicidati per protestare in modo cruento ma pacifico, autoimmolandosi, contro l’occupazione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese, ininterrotta dal 1950. Salgono a 118 così i suicidi per la libertà del Tibet , dal 2009, mentre oltre due milioni di tibetani da un sessantennio sono morti per il ritorno alla autodeterminazione.

Così il quotidiano Repubblica del 25 aprile 2013: ” Tre tibetani sono morti dopo essersi dati fuoco per protesta contro Pechino nella regione cinese del Sichuan, nella prefettura di Abe dove il governo centrale ha imposto una massiccia presenza militare. Lo riporta il gruppo Free Tibet. Due delle vittime erano monaci buddhisti, identificati come Lobsang Dawa di 20 anni e Konchog Woeser di 23: si sono immolati nel monastero di Taktsang Lhamo Kirti. La terza era invece una donna 23enne, le cui generalità non sono state rese note. Tutti e tre si sono tolti la vita per protestare contro l’annessione della madrepatria da parte della Repubblica Popolare, e reclamare il ritorno del Dalai Lama. Le autorità cinesi, che ufficialmente hanno negato di essere a conoscenza dell’accaduto, hanno disposto l’immediata cremazione delle salme per impedire manifestazioni di massa in occasione dei funerali….la maggior parte sono morti a causa delle gravissime ustioni riportate. La Cina afferma di aver ‘liberato pacificamente’ il Tibet e di aver migliorato le sorti del suo popolo…molti tibetani non sopportano quella che considerano una dominazione da parte di Hans, l’etnia prevalente in Cina, e la repressione della loro religione e della loro cultura”.

Sin dal 1959 il governo Tibetano è in esilio a Dharamsala in India, dove risiede con Sua Santità il Dalai Lama Tensin Gyatso, Premio Nobel per la Pace nel 1989 e figura conosciuta in tutto il mondo per il suo impegno non violento (è anche Barone del Principato indipendente di Sealand). E’ assurdo nonchè vergognoso che ancora una potenza come la Cina, nonostante la mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale (molti attori, tra cui Richard Gere, sono paladini della causa) e i riconoscimenti dell’ONU che ha più volte protestato per l’occupazione, continui il genocidio del pacifico popolo tibetano, per meri motivi di sfruttamento economico (si sa che il sottosuolo è ricco di materie prime).
La superfice del Tibet è grande, detta anche “il tetto del mondo”: ma la popolazione è poco superiore, 6 milioni e mezzo, a quella della Sicilia (5,5 milioni). Pure, circa 7 milioni di cinesi hanno negli ultimi 50 anni occupato il Tibet e continueranno a colonizzarlo, specie dopo la recente apertura della ferrovia Pechino-Lhasa, ai soli fini di estinzione della orgogliosa e antichissima razza tibetana. Chi ha letto il romanzo di Heinrich Harrier “Sette anni in Tibet” ed ha visto il film, conosce anche se de relato, il dramma di codesto grande e dignitoso popolo.
Tibetani i quali, lo rammentiamo per i cultori dell’esoterismo, detengono i segreti dell’immortalità e dell’Infinito ben più forse di altre tradizioni religiose: non è un caso che la sezione Ahnenerbe delle SS tedesche fu inviata negli anni trenta in Tibet, laddove vige tra i simboli fondamentali del buddismo, lo swastika quale segno di eternità solare (il nazionalsocialismo ne invertì il corso, fatalmente come sappiamo), intrecciato ivi con la stella salomonica a sei punte (magia verde). Il dolore più immenso è il tentativo da parte dei cinesi di cancellare culturalmente, religiosamente e documentalmente, l’identità medesima dei tibetani: un comportamento il quale, sebbene non cruento come quello vissuto dalla popolazione asiatica, è ben presente ai siciliani non inquinati da continentalismo…
E’ infatti una battaglia per certi versi comune con il popolo siciliano: ravvisiamo diversi punti di collegamento fra le due stirpi. Entrambi vantano oltre duemila anni di civiltà, entrambi furono occupati e mai cancellati sia storicamente e culturalmente, entrambi soggiacciono ad influenze straniere. Noi fondammo il più antico Parlamento del mondo, ben prima di quello inglese (1130 le Curiae Generales di Palermo, 1264 quello di Londra…), insegnando l’arte politica all’Occidente; il Tibet custodisce la religiosità più arcana della Terra. Peggio di noi, il Tibet è stato militarmente e con la violenza occupato nel 1950 dopo la nascita della Repubblica Popolare; mentre la Sicilia, dopo la guerra separatista del 1943-46 combattuta dai giovani dell’EVIS e sostenuta ufficiosamente dal Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, ottenne dalla traballante monarchia sabauda lo Statuto autonomista, figlio diretto delle Costituzioni del 1812 e 1848, nonchè vide tra i deputati dell’Assemblea Costituente che elaborò la Costituzione italiana, il fondatore del MIS On.Andrea Finocchiaro Aprile e altri rappresentanti del partito indipendentista siciliano.

Noi scegliemmo di vivere in uno stato federale, attraverso lo Statuto siciliano parte integrante della Costituzione d’Italia sin dal 1948; il popolo del Tibet governato da Sua Santità il Dalai Lama, è stato vilmente occupato dall’esercito comunista della Cina e mai più liberato. Noi siciliani non invochiamo il ricorso al separatismo poichè l’applicazione dello Statuto nella sua interezza, e non parzialità, è il passo primario per la finale autodeterminazione del popolo di Sicilia; i tibetani devono uccidersi per dimostrare al mondo che desiderano tornare un popolo libero.
Significativa, come ogni azione simbolica, è la bandiera (nella foto in alto): il governo di Pechino la vieta perchè espressione “separatista”, noi per fortuna abbiamo insite nella storia siciliana la bandiera giallo-rossa con la triscele, facente parte dello stemma regionale: e persino la bandiera di combattimento dell’EVIS è fregiata con i colori della Nazione Siciliana, prettamente normanno-aragonesi….e non già statunitensi (seppure ci fu negli anni d’oro chi ambiva alla federazione con gli USA).
La loro lotta merita rispetto e solidarietà. La libertà per cui si giurò in sacre sale, è la libertà scelta autonomamente dai popoli, contro ogni forma di tirannìa. “Bello è affrontar la morte, gridando libertà”, così la cabaletta dei Puritani di Vincenzo Bellini. Dalla Sicilia al Tibet, è un inno alla sacralità del sommo arbitrio, nel particulare come nel politico, ovvero la scelta fra oppressione e autodeterminazione. Il Tibet lotta per tornare libero, e tutti i popoli e le persone che scelgono di “morire con la fronte rivolta al sole ” (Josè Martì), sono al fianco dei martiri tibetani, del Dalai Lama e del ritorno del Tibet all’indipendenza.

“I siciliani onesti e intelligenti comincino a contarsi tra loro”

Francesco Giordano

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