Una protesta festosa, a tratti scanzonata, ma non per questo poco netta in contenuti e rivendicazioni. Anche a Catania, come in altre 70 città italiane, il corteo NO Buona scuola, promosso da varie sigle del mondo della rappresentanza studentesca in tutta Italia, ha invaso il centro della città. Gli studenti scioperano e, stavolta, senza alcun timore reverenziale nel prendere in prestito la parola dal lessico di chi, al lavoro, ci va davvero e sceglie di astenersi per portare avanti le proprie ragioni. Nel mirino, infatti, c’è proprio quella all’alternanza scuola-lavoro che, a detta dei manifestanti, «Trasforma in lavoratori non pagati, senza lasciare nulla in cambio su curriculum ed esperienza».
Il piano voluto dal governo Renzi non avrebbe mantenuto la sua promessa di fondo: colmare una delle grandi lacune dell’istruzione italiana, cioè la distanza, la mancanza di vasi comunicanti, tra i banchi di scuola e «la vita là fuori», cioè il mondo di impieghi, imprese, professioni. «In realtà si concretizza un vero e proprio sfruttamento degli studenti, spesso impegnati come lavoratori a tutti gli effetti, ma senza stipendio e tutele». Poi c’è il lungo elenco di storie che vedono i ragazzi impegnati in mansioni non coerenti al proprio percorso di studio, «in situazioni di precarietà, poco seguiti e dunque in contesti dove tutti si fa tranne che fare formazione», raccontano alcune ragazze della piattaforma che riunisce varie realtà dagli istituti superiori della città, Studenti catanesi. «Quest’anno poi si è aggiunto un vero e proprio ricatto – proseguono – gli iscritti all’ultimo anno che non prendono parte all’alternanza non possono sostenere l’esame di Stato». Ma il punto su cui battono di più i manifestanti resta la distorsione che la novità introdotta dalla renziana riforma della Buona scuola avrebbe creato: «Di fatto capita spesso che si occupano posti di lavoro dove potrebbero starci lavoratori veri, a tutto vantaggio di aziende e imprenditori che si ritrovano manodopera gratuita – ripetono le attiviste – mentre a noi ragazzi non resta nulla».
Momento clou del corteo è stata la sosta nei pressi del McDonald’s di piazza Stesicoro, con l’esposizione di striscioni e vari cori. Lì davanti una protesta si era già tenuta, contro l’idea che vedrebbe gli studenti «andare a lavorare gratis nei banconi e nelle cucine di una multinazionale», in relazione all’ingresso del marchio nel programma nazionale dell’alternanza, regolato da accordi fra governo e grandi aziende. «Ma ancora più assurdo – aggiunge una ragazza – è stato vedere un professore di lettere o di latino accompagnare i suoi ragazzi a lavorare negli orti del Comune, cosa c’entra questo con la formazione degli studenti?» In piazza, infatti, ci sono anche tanti docenti, schierati al fianco dei manifestanti. Ma l’idea di creare un ponte tra scuola e lavoro è tutta da buttare? «Non diciamo questo, saremmo d’accordo se ci venisse riconosciuto un compenso o se si facessero percorsi coerenti con i nostri studi», concludono i partecipanti al corteo.
L’altro filone della protesta riguarda lo stato di salute dell’università catanese. Corposa anche la rappresentanza di universitari, con i testa gli esponenti del Coordinamento universitario. Qui si va ancora di più sul pragmatico: «Da una parte ci dicono che l’ateneo non ha soldi, dall’altra si continuano a tenere in piedi sprechi clamorosi – attacca un’attivista – ad esempio si mantengono affitti di varie sedi che non sono destinate a noi studenti, di cui nessuno ne conosce l’utilizzo, mentre nei vari dipartimenti la carenza di aule e spazi per didattica è sempre più soffocante». Altri nodi irrisolti, per l’università etnea, sono la «penuria di alloggi per i fuori sede, mentre quelli che ci sono non vengono sottoposti a manutenzione e le pochissime risorse destinate a borse e assegni di ricerca». Per gli studenti, comunque, c’è anche modo di tenere accesa la speranza: «Oggi il mondo della formazione è sceso in piazza unito, dai più piccoli ai più grandi, è un segnale fortissimo», conclude la giovane.
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