Tutelare le circa 140 famiglie di ex Lsu che lavorano per Almaviva a Palermo, e garantire in modo indiretto così il posto di lavoro ai dipendenti nelle sedi del capoluogo siciliano. Questa la proposta che parte dal comitato spontaneo di ex Lsu che questa settimana presenterà un ricorso al Tar per chiedere che venga riconosciuta dalla Regione siciliana come ancora in vigore la legge regionale 4 del 2006 che permetterebbe a questi ultimi di essere stabilizzati negli enti di provenienza o in altra sede. Lo sgravio dei costi che ne deriverebbe per Almaviva, secondo gli ex Lsu, «garantirebbe all’azienda di essere più concorrenziale in un momento in cui il settore è in crisi e di mantenere almeno 250 posti di lavoro part time». A questo si aggiunge la preoccupazione per i quaranta lavoratori, sempre ex Lsu, impiegati sulla commessa Enel che «In caso di dimissioni da Almaviva per essere assunti in Exprivia, come indicano le clausole sociali – afferma Miraglia – resterebbero senza le tutele previste per il licenziamento e non sanno che fare, vivono tra l’incudine e il martello». Di queste quaranta persone, dieci hanno già ricevuto la lettera di trasferimento e quindi sono i primi che dovrebbero andar via.
A oggi i licenziamenti a Palermo sono stati scongiurati, ma da oltre tre anni i lavoratori usufruiscono del contratto di solidarietà e viste le vertenze aperte a Roma e Napoli, le prospettive di lavoro non sono delle più rosee al momento attuale. Inizialmente erano 250 i lavoratori ex Lsu assunti nel 2002 in Cosmed, assorbita poi da Almaviva Contact. Dalle quattro ore iniziali previste, i lavoratori sono stati inquadrati con sei ore lavorative come part time al 75 per cento, anche se alcuni di loro sono passati a lavorare full time. «La maggior parte dei dipendenti Almaviva lavorano part time, su turni di quattro ore. Il fatto che 140 lavoratori ex Lsu venissero riprotetti in altri enti equivarrebbe a proteggerne molti altri», afferma Fabio Miraglia, promotore del comitato ex Lsu Almaviva e sindacalista Ugl. «La maggior parte di noi – continua – ha beneficiato di scatti di anzianità e siamo stati inquadrati al quarto livello. Il nostro costo orario a minuto è di circa 34 centesimi ma si tratta di un costo medio dato da tutti i lavoratori, che si ridurrebbe senza la presenza di 140 lavoratori come noi e l’azienda diventerebbe più concorrenziale sul mercato», aggiunge Miraglia.
«Erano partiti i licenziamenti a Palermo, poi sono stati bloccati – aggiunge Miraglia – e sulla situazione di Roma e Napoli ritengo che sia l’ennesimo bluff dell’azienda che utilizza i lavoratori come strumento di contrattazione che mi auguro che si traduca in un nulla di fatto, cosa che potrebbe nuovamente ripercuotersi su Palermo, dove permangono gli esuberi». Il promotore del comitato spiega come sul tavolo della contrattazione con il governo gravi il braccio di ferro su alcune misure rimaste finora lettera morta. «Almaviva si sta battendo per fare applicare le norme esistenti come ad esempio quella che prevede che quando un cliente chiama dall’Italia deve essere avvisato se si sta rispondendo dall’estero ed eventualmente il cliente può scegliere (art. 24-bis del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134 ndr). Far rispettare questa norma ridurrebbe drasticamente il traffico verso l’estero e non ci sarebbe più alcuna ragione per aprire un call center nei paesi in cui fare questo costa un terzo rispetto all’Italia». Una persona inquadrata part time 75 per cento – spiega – oggi guadagna 850-900 euro mentre all’estero lo stesso lavoratore ne guadagna 300-350. «È chiaro che non potrò mai essere competitivo con loro, qui non si può vivere con questa cifra». Poi c’è il nodo delle gare al massimo ribasso: «Quando un committente, che può essere Enel, Tim o Vodafone, indice una gara alla quale competono tutti gli outsourcer come noi e stabilisce una base d’asta inferiore al costo del lavoro è ovvio che chi opera in Italia non può neppure partecipare. Il nostro costo orario a minuto, come detto, è di circa 34 centesimi. L’ultima gara, quella dei lavoratori Enel, è stata aggiudicata a 19 centesimi».
La legge regionale numero 4 del 2006, che all’articolo 2 comma 5 prevedeva che nel caso in cui l’azienda che aveva assunto i lavoratori del bacino Lsu fosse entrata in crisi di area o di settore – anche privata – la Regione avrebbe potuto riprenderli e stabilizzarli nei limiti del fondo del precariato. A fronte di ciò doveva avere luogo una concertazione all’ufficio provinciale del lavoro con le parti in causa. «La Regione ha detto che la norma, già applicata in passato per due cooperative, è abrogata e pertanto non applicabile», spiega ancora il sindacalista. I lavoratori ex Lsu, in quelle due occasioni, sono stati licenziati e riassunti applicando questa norma: «Per queste persone la legge 4 del 2006 si riagganciava a una serie di norme sul precariato che prevedevano per i neo assunti dall’azienda – pubblica o privata che fosse – vantaggi in termini di contributi pari a circa trentamila euro al lavoratore – afferma Miraglia – e sgravi fiscali». A seguito della legge Madia, recepita dalla Regione siciliana con la legge 5 del 2014, si è cristallizzata la situazione dei precari. Nella legge si mette un punto fermo e dice di stilare il numero di precari siciliani al 31/12/2013 e sono state abolite all’articolo 30 una serie di norme in generale sugli ex Lsu e poi altre nel dettaglio tra le quali «la legge 4/2006 non è presente». La Regione siciliana ha quindi fatto sapere che in forza di quella legge la norma per la stabilizzazione del 2006 non esiste più e che quindi non può essere applicata. «Stiamo predisponendo un ricorso al Tar che partirà questa settimana – precisa Miraglia – perché riteniamo la risposta inidonea». Gli ex Lsu sostengono anche che i posti nelle piante organiche per la stabilizzazione ci sono anche perché «si tratta di personale qualificato».
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