Almaviva, contro il Coronavirus niente smart working  Solo postazioni alterne. «Chiudere subito i call center»

«Come conoscitore delle condizioni malsane in cui si lavora in un call center, ho sentito il dovere etico e morale di lanciare l’allarme su questa situazione. Se non cambiamo velocemente le nostre abitudini, difficilmente ne usciremo fuori. Secondo me i call center e le realtà simili vanno, se non è possibile il telelavoro, chiusi non domani ma adesso». Tanti i lavoratori di Almaviva che, come sottolinea questo dipendente, stanno sollevando la questione sicurezza di fronte all’emergenza Coronavirus. Dopo la decisione del governo nazionale di espandere la zona rossa all’intero Paese, per molte aziende e attività è scattato il cosiddetto smart working. La possibilità, cioè, di continuare a lavorare da casa. Mentre ai negozi, fatta eccezione per chi vende generi alimentari e per le farmacie, è stato imposto di abbassare le saracinesche e sospendere le attività. Almaviva, però, non chiude. Né, però, ad oggi mette in condizione di lavorare da casa, come richiesto dai sindacati.

Ieri è partita una campagna con la quale l’azienda chiede ai 2800 lavoratori di comunicare le dotazioni informatiche di cui è in possesso presso la propria abitazione, al fine di poter lavorare da casa, «previo consenso da parte dei committenti». Intanto, per diminuire l’affollamento del terzo piano dell’edificio di via Cordova, il servizio Sky tra giovedì 12 marzo (38 risorse) e venerdì 13 (per intero) sarà trasferito in via Ugo La Malfa. Da oggi scatta la disposizione di sedersi a postazioni alterne, che comporterà di contro l’impossibilità di utilizzare circa metà delle postazioni per ogni turno. Per conciliare l’esigenza di sicurezza con quella di gestire il traffico, su Alitalia e sul numero di pubblica utilità disposto dal governo, il 1500, verrà esteso l’orario servizio in una fascia tra le 6 e 24 e verranno rimodulate le turnazioni e le libertà sui suddetti servizi. Ma così non basta, almeno a sentire dipendenti e sindacati.

«Pare che l’azienda stia chiedendo qualche sacrificio ai lavoratori, io lo trovo quanto meno inopportuno – commenta il segretario generale Slc Cgil Palermo Maurizio Rosso -. Ma come, un tipo di lavoro così? Continuando ancora in spazi così piccoli? La prima cosa da fare, già da tempo, era cominciare a pensare come mettere questi lavoratori in condizione di lavorare dalle proprie case. Qua ne va della salute pubblica, ogni giorno la situazione si fa più grave». Intanto, una dei 2800 dipendenti di Palermo, Manuela Cunsolo, ha lanciato una petizione online diretta al ministro della Salute Speranza: «I call center sono un luogo di grande aggregazione e con molti dipendenti, che sono costretti a condividere le postazioni con tastiere e mouse nei cambi turno. Anche mantenere le distanze di sicurezza è praticamente impossibile. È una piccola città con centinaia di dipendenti. I dipendenti sono quindi seriamente esposti al Coronavirus». Oltre 500, a fronte delle mille necessarie, raggiunte in poche ore. Ma è davvero così, con una petizione online, che lavoratori esposti come questi devono chiedere tutele per salvaguardare la propria salute e quella degli altri?

Intanto, in queste ore, gli AlmaWorkers di Milano hanno formalmente chiesto ad Almaviva Contact di poter lavorare in sicurezza, in un ambiente sanificato e protetto. Chiedendo che l’azienda si adegui rispetto alle direttive del governo potendosi avvalere della tecnologia di smart working per limitare il rischio di contagio da Covid-19 anche a tutela del personale della sede di Segrate. Mentre per i dipendenti palermitani, su questo stesso fronte, non si hanno al momento novità. E in molti, tra loro, sollecitano a rimanere a casa in via precauzionale. «Dodici anni ad Almaviva e firmo ogni mese e non ho nulla, nessun diritto – commenta una dipendente –. Da casa come tutti i colleghi ci portiamo a nostre spese disinfettanti, mascherine e guanti. Si accettano consigli o donazioni da chi ha ferie, malattia o… Ci cede la sua cassa integrazione perché a noi neanche quella spetta… Alle favole qui non ci crediamo più da anni».

Silvia Buffa

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