All’Onu, tra giustizia e pace, l’Italia si annulla nel “fantasma” dell’Unione Europea

L’Assemblea dell’Onu ha eletto giovedí Argentina, Australia, Lussemburgo, Corea del Sud e Rwanda a nuovi membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza per un mandato che durerà due anni a partire dal primo gennaio 2013. Ma il giorno prima al Consiglio di Sicurezza era di scena, per la prima volta, la Corte Penale internazionale dell’Aja (Cpi) con un dibattito dedicato alla “Rule of Law” e il rapporto tra CdS e Cpi a dieci anni dalla istituzione di quest’ultima. Larghissima la partecipazione al dibattito, con oltre cinquanta Paesi che hanno pronunciato un discorso nella seduta aperta del Consiglio.

La Corte penale internazionale dell’Aja, costituita quattro anni dopo lo storico trattato firmato a Roma nel 1998, è una istituzione internazionale indipendente che non fa parte delle Nazioni Unite. Attualmente qualsiasi Paese tra i 121 che ha finora firmato lo Statuto di Roma può chiedere al procuratore del Cpi di iniziare un’indagine per coloro accusati di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di Guerra. Uno Stato non firmatario del trattato può accettare la giurisdizione della Corte dell’Aja per crimini commessi nel suo territorio o da suoi cittadini. Infine, il Consiglio di Sicurezza può riferire un caso alla Corte e sollecitare una indagine. Il mandato principale del tribunale è proprio quello di processare individui piuttosto che Stati.

Mercoledì scorso per la prima volta una sessione del CdS è stata chiamata a discutere sul suo rapporto con la Corte penale internazionale, cioè del futuro delle relazioni tra l’organo internazionale chiamato a preservare la pace e la sicurezza mondiale e quello che dovrebbe combattere l’impunitá e assicurare la giustizia.

Ma tra la pace e la giustizia si insinua la politica, e così si finisce che per preservare l’una si sacrifichi l’altra e viceversa.

A volere il dibattito è stato il Guatemala, presidente di turno del CdS e alla fine dei lavori, il suo ambasciatore all’Onu Gert Rosenthal, ha risposto alle domande dei giornalisti. Noi abbiamo chiesto se questa riunione potesse scuotere l’incoerenza dimostrata dal CdS nel riferire alla Cpi crimini contro l’umanità, come per esempio in questi mesi per la Siria. L’ambasciatore Rosenthal ha mostrato di avere poche illusioni e ha risposto che, pur sperando che il dibattito possa portare nuovi stimoli nel CdS, la strada su questo fronte resta lunga.

Il primo ad intervenire nel dibattito è stato il Segretario Generale Ban Ki-moon, che ha ribadito come il Consiglio di Sicurezza ha un ruolo vitale nell’assistere la Corte dell’Aja nell’assicurare che i crimini di guerra e contro l’umanitá nel mondo non risultino impuniti.

“Quando si tratta di pace e giustizia, noi viviamo in un nuovo mondo” ha detto Ban. “Coloro che pensano di poter commettere azioni orribili che scioccano le coscienze dell’umanità, non possono più contare che i loro atroci crimini rimangano impuniti. Governanti e signori della Guerra non possono più scambiare il loro potere per una amnistia e poi andarsene via, impuniti, in qualche posto sicuro”, ha detto Ban Ki-moon, aggiungendo: “Ora viviamo nell’era della responsabilità. Una età in cui c’è una crescente enfasi sulla responsabilità degli Stati di farla finita con l’impunità e perseguire coloro responsabili di genocidio, crimini contro l’umanità e di guerra. E’ questa un’era” ha proseguito il SG dell’Onu, “in cui gli inviati e i rappresentanti dell’Onu mentre negoziano e mediano accordi di pace, non possono promuovere e condonare amnistie per il genocidio e le grandi violazioni dei diritti umani”.

Ban Ki Moon ha quindi sottolineato l’importanza del rapporto tra il CdS e la Cpi: “Dovrebbero esplorare i vari modi in cui essi possono complementare e bilanciare il lavoro di entrambi, dalla prevenzione all’esecuzione”.

Nella lista di più di 50 Paesi iscritti a parlare, si notava l’assenza dell’Italia. Si notava soprattutto perché il trattato di istituzione del Cpi fu firmato proprio a Roma per sottolineare anche il ruolo speciale che l’Italia aveva avuto nel raggiungimento di quello storico traguardo quando appariva a molti ancora troppo distante. Invece il Tribunale si realizzò e, bisogna ricordarlo, grazie anche al lavoro pionieristico di Ong come “Non c’é pace senza giustizia” fondata dalla radicale Emma Bonino.

Nella lista era previsto l’intervento del rappresentante dell’Unione Europea, l’ambasciatore Thomas Mayr-Harting, e quindi dalla missione italiana all’Onu si confermava che l’Italia interveniva al dibattito attraverso l’Ue di cui aveva partecipato alla stesura del discorso. Eppure mercoledì c’erano anche in lista gli interventi di Spagna, Belgio, Slovenia, Finlandia altri… Allora perché anche l’Italia non pronunciava il suo discorso? Alla fine si è capito che la linea del Gverno italiano è quella di voler dare la maggior visibilità possibile all’Ue ma intanto altri Paesi, come Spagna e Belgio, pensano soprattutto alla loro di visibilità. Ad una settimana dal premio Nobel per la pace, la politica estera comune europea all’Onu si conferma essere un fantasma.

Nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza, il Presidente della Corte Penale Internazionale, il giudice sud coreano Sang-Hyun Song, ha messo in risalto la natura intrecciata delle due istituzioni: il Consiglio che si concentra su pace e sicurezza e il Cpi che ha come obiettivo la ricerca della giustizia. “I peggiori incubi dell’umanità si trovano all’intersezione dei nostri rispettivi mandati. Quando crimini di massa contro vittime innocenti minacciano la pace internazionale, sia il Consiglio che la Corte hanno un ruolo importante da giocare” ha aggiunto il presidente della Cpi, “e nella Corte, il Consiglio può riconoscere una strada unica per l’assicurazione della giustizia come elemento cruciale nel piú ampio sforzo internazionale”.

Uno degli interventi piú attesi di mercoledì era quello dell’ambasciatrice Susan Rice, perché gli Stati Uniti non sono tra i firmatari del trattato di Roma, come del resto la Cina (la Russia firmó ma non lo ha mai ratificato). Rice al CdS ha detto che “la responsabilità e la pace iniziano con i governi che si prendono cura dei propri cittadini”.“Allo stesso tempo”, ha continuato la voce di Obama all’Onu, “di più può essere fatto per rafforzare il meccanismo della responsabilità a livello internazionale. Gli Stati Uniti hanno fortemente appoggiato la creazione dei tribunali internazionali ad hoc per il Rwanda, l’ex Yugoslavia, la Sierra Leone, la Cambogia… Mentre queste istituzioni giuridiche completano i loro mandati nei prossimi anni” ha aggiunto Rice “la Corte Penale internazionale potrebbe diventare uno strumento ancora piú importante a salvaguardia della giustizia contro l’impunità”.

Queste frasi degli Usa sul futuro della Corte assumono un significato importante. Come ha detto la stessa Rice, “anche se gli Stati Uniti non fanno parte dello Statuto di Roma, noi riconosciamo che la Corte Penale Internazionale puó essere un importante strumento per la responsabilità”.

Quando durante una pausa dei lavori del CdS abbiamo chiesto al Presidente della Cpi, quale fosse stato il migliore discorso ascoltato finora, Sang-Hyun Song ha risposto: “Ho sentito discorsi forti, a partire da quello degli Stati Uniti”.

Stefano Vaccara

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