«Nel 2015 in media c’è stata un’allerta meteo ogni tre giorni. Abbiamo ricevuto l’allarme dalla protezione civile regionale anche l’8 agosto. E siamo a Catania. Il metodo è da cambiare». Che il sistema degli allarmi lanciati dalla protezione civile regionale fosse da rivedere è cosa nota da tempo. A renderla evidente sono stati due degli ultimi codici rossi, ai quali si è aggiunta l’ordinanza del Comune di Catania – e di molti Comuni limitrofi – di chiusura delle scuole. Il 15 e il 31 ottobre il sole era alto in cielo mentre le amministrazioni si aspettavano di fronteggiare un maltempo previsto come straordinario. Ma poi arrivato solo in serata. «Una situazione inaccettabile», affermava sabato il primo cittadino Enzo Bianco, annunciando un vertice nazionale a Palazzo degli elefanti, il prossimo 12 novembre. «Il fatto è che non possiamo prendere più di tanto le distanze dalla protezione civile regionale – spiegano dagli uffici etnei – Anche volendo, la legge ce lo impedisce».
In effetti, un decreto della Regione Sicilia del 30 ottobre 2014 recita: «I sindaci, in qualità di responsabili locali di protezione civile, potranno, a ragion veduta, dichiarare una fase operativa diversa. In ogni caso mai inferiore, a quella emessa dalla Regione». Vale a dire: se gli uffici di Palermo dichiarano un livello d’allerta rosso, non è possibile declassarlo ad arancione. «Un corto circuito, considerato che gli uffici sul territorio raccolgono dati più precisi», spiegano gli esperti etnei. Dato che va letto insieme a un altro elemento: il fatto che gli allarmi vengano emanati non per singola provincia o Comune, ma per macroaree.
Il Catanese, per esempio, rientra in due macroaree – dette «zone omogenee di allerta» – distinte. Una la condivide con Enna, Lentini, Carlentini e perfino Gangi (in provincia di Palermo). Un’altra area, invece, è in comune con Messina, Taormina e Scaletta Zanclea. «Per stabilire il livello di allerta in ciascuna macroarea si fa una formula matematica, a seguito della quale si ottiene una sorta di media». Per fare un esempio: a Letojanni sono previste precipitazioni da allerta rossa, mentre a Bronte i servizi meteo prevedono una bella giornata di sole. Ma siccome Bronte e Letojanni rientrano nella stessa «zona omogenea» l’allarme generale potrebbe essere di livello arancione. «Si tratta di una delle numerose contraddizioni con le quali siamo costretti a lavorare ogni giorno – dicono gli addetti ai lavori – Se anche sappiamo che un’allerta non è giustificata nel nostro territorio, dobbiamo comunque agire seguendo i dettami dei colleghi palermitani».
«Noi studiamo continuamente, abbiamo alle spalle un bagaglio di esperienza rilevantissimo. Che deriva dal fatto che operiamo in città e abbiamo perfettamente chiaro quali possono essere le criticità principali. Ma in tutto il Comune ci sono oltre tremila caditoie di cui fare la manutenzione, e dobbiamo lavorare con i fondi e gli uomini che abbiamo». In centro, per esempio, la pulizia dei tombini avverrebbe con più frequenza che in altre zone della città. «Ma se un tombino salta non è perché è otturato, ma perché non è progettato per ricevere e gestire quella quantità d’acqua. Le condutture sono state fatte in anni in cui questa cementificazione alle porte della città ancora non c’era». Sarebbe anche questo il motivo per il quale certe vie del centro storico si trasformano in un fiume in piena. «Se ci fosse il canale di gronda quell’acqua in via Etnea non ci arriverebbe».
Certo, le ordinanze di chiusura delle scuole – per citare le più contestate – non sono obbligatorie. «Ma con un livello d’allerta rosso come fai a lasciarle aperte? Chi è disposto a prendersi queste responsabilità?». Per la verità, qualcuno che se le prende c’è. Il Comune di Palagonia, per esempio. «Neanche sabato abbiamo lasciato i bambini a casa», spiega il presidente del consiglio comunale, Salvo Grasso. La prima volta, a metà ottobre, quello palagonese era stato uno dei pochi centri a non intervenire sulle attività didattiche. E il 31 ottobre ha replicato: «Conosciamo il territorio, siamo in grado di valutare il rischio. Ogni quattro mesi facciamo la pulizia delle caditoie e delle fognature – dice – Inoltre la montagna che abbiamo vicina è di tipo roccioso, non argilloso. Quindi è stabile e non si verificano frane e fiumi di fango». «Queste allerte meteo sembrano delle precauzioni dovute allo stato disastroso di ampie zone della Regione – conclude Grasso – Senza voler nulla togliere alla necessità di prendere delle precauzioni, giustissime, io penso che le amministrazioni comunali possano fare molto per evitare situazioni di rischio. Certo: servono risorse economiche. E serve voglia di fare prevenzione».
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