Alle radici dell’Autonomia siciliana: il progetto Salemi

di Simone Correnti

Giovanni Salemi fu nominato nel 1945 dall’Alto commissario Salvatore Aldisio, nella commissione regionale per la formulazione dello Statuto siciliano. Professore di scienze giuridiche nella Regia Università di Palermo, insieme ai professori Franco Restivo e Paolo Ricca, Salerno formava l’apparato tecnocratico della commissione.

Il professor Salemi diventò la figura principale, gli verrà affidato il compito di redigere la prima bozza di Statuto, una sorta di base da cui la commissione doveva partire per iniziare il dibattito sull’Autonomia. Il concetto principale, imprescindibile era tenere ferma l’unità politica dello Stato italiano e creare in seno ad esso l’ente territoriale “Regione siciliana” che avrebbe avuto natura giuridica propria. Inoltre alla Regione doveva essere affidata la piena autonomia legislativa in certe settori (quelli dell’attuale Statuto), sempre nel rispetto delle leggi costituzionali dello Stato.

Il progetto prevedeva la costituzione a Palermo di istituzioni che avevano sede esclusiva a Roma: la Corte dei Conti, la Commissione superiore per le imposte, la Commissione centrale per le perquisizioni, istituzioni necessarie per sottolineare ancora di più il principio di autonomia.

Per quanto riguarda l’organizzazione territoriale, il professore preferì mantenerla immutata, quindi Province e Prefetture restavano e non venivano abolite come negli altri progetti presentati in commissione; su quest’argomento si accese un ampio dibattito in sede di commissione, con Enrico La Loggia che riteneva necessario un cambiamento nell’organizzazione amministrativa, a partire dall’abolizione delle Province e istituti annessi.

La magistratura rimaneva a carico dello Stato, però era compito del presidente della Regione la nomina dei magistrati, previo concorso.

Come garanzie istituzionali era istituita un Alta Corte per la Sicilia, con il compito di verificare se leggi emanate dallo Stato vulneravano l’Autonomia e, viceversa, se le leggi regionali avrebbero creato conflitti con lo Stato. L’Alta Corte per la Sicilia si configurava come un organo di garanzia importantissimo, poiché tutelava l’operare della Regione da possibili controversie o prepotenze dello Stato.

L’Alta Corte era formata da giudici nominati tra Stato e Regione, tra i professori ordinari di facoltà giuridiche presenti nel territorio nazionale. A impugnare le leggi erano: i membri del consiglio regionale, il presidente della Regione o il commissario dello Stato. Quest’ultima figura era il rappresentante del Governo nazionale che, oltre alle impugnazioni delle leggi regionali, avrebbe potuto proporre al Governo di sciogliere il Parlamento regionale e commissariare la Regione.

Al contrario di altri progetti di Statuto, a decidere lo scioglimento del Parlamento siciliano non era il Parlamento nazionale, ma il Consiglio di Stato. L’Alta Corte aveva sede a Palermo. Su questo punto il dibattito in commissione fu aspro. C’era chi sosteneva, per ragioni di trasparenza verso lo Stato, l’istituzione dell’Alta Corte a Roma; chi sosteneva, come Salemi, la necessità della sede siciliana, perché più vicina alla Regione per esplicare i propri compiti in tempo debito e per probabili influenze “romane”. Inoltre, giacché avrebbe giudicato i reati compiuti da presidente e assessori regionali nell’esercizio delle loro funzioni, la sede a Roma non era pratica.

Per quanto riguarda gli organi di polizia, nella Regione erano istituite due forze di polizia, una regionale e una statale, sotto il controllo del presidente della Regione. Anche qui la discussione fu animata, perché due polizie avrebbero comportato conflitti di competenza tra Stato e Regione.

Enrico La Loggia (partito liberale) e Mario Mineo (Partito socialista) furono contrari a due istituzioni con compiti uguali, ma favorevoli a polizie regionali con compiti amministrativi e forestali. Il professore si difese, asserendo che lo Stato, o di sua iniziativa o perché interpellato dal presidente della Regione, avrebbe potuto assumere il comando di tutte le forze di polizia presenti nell’Isola; quindi il problema del conflitto, in questo senso, era risolto. La Consulta, alla fine, optò per la sede romana.

La finanza della Regione si basava con il principio che era dello Stato “il diritto esclusivo di imporre e riscuotere tutti i tributi”, quindi le tasse prelevate in Sicilia, sia dirette, sia indirette, andavano allo Stato che ne avrebbe concesso alla Sicilia i tre quarti. Inoltre fu previsto un fondo di solidarietà nazionale, che lo Stato devolveva alla regione per più annualità. Il fondo era determinato da una commissione paritetica tra Stato e Regione. In più se queste entrate erano insufficienti, lo Stato avrebbe aumentato il fondo e autorizzato la Regione a creare nuove imposte.

Il dibattito, in sede di commissione, sulla finanza fu intenso. Enrico La Loggia si dichiarò favorevole al fondo, o meglio diventò il suo cavallo di battaglia. Egli interpretava il fondo di solidarietà come una riparazione economica per le usurpazioni e i danni che la Sicilia subì dall’Unità italiana in poi. La Loggia perfezionò quest’articolo – l’articolo 38 dello Statuto -sostenendo che bisognava fissare esattamente le quote, tramite una qualifica esplicita determinata con il calcolo delle giornate lavorative della popolazione passiva, poiché la cittadinanza attiva, in Sicilia, era molto bassa.

In sostanza, si richiedeva allo Stato un risanamento delle condizioni socioeconomiche dell’Isola attraverso un’apposita politica di lavori pubblici, finché la Regione avrebbe raggiunto nel campo dell’utilizzazione del “proprio potenziale di lavoro”, un minimo rappresentato dalla media nazionale. Il suddetto articolo, modificato da La Loggia, costituirà, come già ricordato, l’attuale art.38.

Un’altra obiezione, nella politica economica di Salemi, fu sollevata da Mario Mineo che riteneva necessarie per la Regione solo la tassazione diretta, mentre quella indiretta la lasciava allo Stato, insieme ai monopoli. Il progetto Salemi non fu accettato in pieno dalla commissione, in più parti fu notevolmente modificato, durante le sedute fu considerato troppo farraginoso. Il professore formulò un progetto volto alla “prudenza”. Inoltre, come dichiarerà lui stesso, “l’unità politica dello Stato italiano deve trasparire da tutti gli istituti dell’autonomia” e il suo progetto è l’applicazione pratica di questo principio. Ecco, in sintesi, il progetto “Salemi originale”, che concedeva poco spazio a una reale autonomia, preferendo mantenere inalterata la fisionomia dello stato.

 

Fonti bibliografiche:

Regione Siciliana, Consulta regionale siciliana, Atti della V sessione, Edizioni della Regione siciliana Palermo, 1976

 

Redazione

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