All’albergo delle Povere 107 foto di Robert Capa Tusa: «Raccontò guerre con scatti potentissimi»

«Trotsky non voleva essere fotografato. Erano giunti fotografi da tutto il mondo con i loro enormi obiettivi, ma nessuno poté entrare. Io avevo una piccola Leica in tasca quindi nessuno pensò che fossi un fotografo. Quando alcuni lavoratori passarono per portare dei tubi d’acciaio nell’aula, io mi unii a loro e insieme alla mia piccola Leica andai in cerca di Trotsky». E con un Trotsky intento a gesticolare, che si guadagnò la prima pagina del supplemento fotografico del quotidiano Berliner Tageblatt, debutta uno dei più grandi fotogiornalisti del ventesimo secolo: Robert Capa, in mostra a Palermo al Real Albergo dei Poveri dal 25 aprile al 9 settembre 2018.

107 fotografie in bianco e nero scattate dal 1936 al 1954, provenienti dall’archivio dell’Icp di New York. Un racconto cronologico che mostra la realtà della guerra tramite gli occhi di Endre Friedmann, vero nome del fotografo ebreo ungherese, conosciuto con lo pseudonimo di Robert Capa. «Dopo Cartier-Bresson abbiamo deciso di portare a Palermo anche Capa – racconta il curatore, Denis Curti – I due sono stati grandi amici e insieme nel 1947 hanno fondato Magnum». Uno dei più grandi fotografi di guerra, che vivendola in prima persona la disprezza. Prende posizione e ne documenta l’orrore, la sofferenza, il caos.

Donne e bambini che piangono in un cimitero del Vietnam, gente che corre alla ricerca di un riparo al suono di un allarme aereo, la celebre foto “Il miliziano colpito a morte”, soldati che passando notano un cadavere per terra, donne in fuga dai combattimenti tra le montagne, immagini dal D-day lo sbarco delle truppe americane in Normandia e, ancora, una folla che celebra la liberazione a Parigi e a Monreale. Cinque i grandi conflitti immortalati: la guerra civile spagnola, la seconda guerra mondiale, la prima guerra d’Indocina, la guerra arabo-israeliana e la seconda guerra sino-giapponese.

«In un momento segnato da fortissime tensioni sociali e geopolitiche, quando il tema del conflitto diventa più che mai allarmante, presentiamo con convinzione questa mostra – afferma Sebastiano Tusa, assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – Robert Capa visse la trincea, guardando in faccia la morte e sfidando il pericolo nei giorni infuocati della seconda guerra mondiale. Raccontò tutto questo nella flagranza di scatti potentissimi, divenuti in certi casi iconici».

Un fotografo affascinante, disposto a tutto pur di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. «Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino» era solito ripetere. Ricercatore di una vicinanza non soltanto fisica ma mentale, Capa cercava di entrare in intimità con l’evento mentre lo immortalava. Vicinanza che gli costò la vita, quando nel 1954, intento a fotografare alcuni sminatori vietnamiti, saltò in aria con la macchina fotografica al collo.

Promossa dall’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana e organizzata da Civita in collaborazione con Magnum Photos e la Casa dei Tre Oci, “Robert Capa Retrospective” si inserisce tra le iniziative di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018. L’esposizione si articola in 12 sezioni. Tra i reportage, Capa realizzò anche parecchi Ritratti ad amici e artisti: Matisse nel suo studio, Picasso, Cooper in equilibrio su un tronco, Hemingway, Huston e Bergman.

La mostra sarà visitabile dal martedì alla domenica dalle 10 alle 19. Sarà messa a disposizione di tutti i visitatori, una audio-guida, inclusa nel biglietto di ingresso, in italiano e in inglese, con cui seguire tutto il percorso espositivo. Una sezione speciale della mostra è dedicata alle fotografie scattate da Capa durante la sua permanenza in Sicilia. Capa arriva nell’isola a bordo di un piccolo aereo insieme ad altri soldati, si lancia col paracadute e, dopo essere rimasto impigliato tra i rami degli alberi per qualche ora, riesce a liberarsi e a raggiungere gli avamposti americani. Assiste all’entrata vittoriosa degli americani a Palermo e nel suo diario scriverà dell’entusiasmo con cui la popolazione li accoglie e li saluta, festosamente.

Maria Vera Genchi

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