Un lungo corteo ieri ha attraversato Catania. Circa duemila lavoratori, protagonisti loro malgrado di una delle vertenze più importanti di tutta la Sicilia, seconda solo a quella della Fiat di Termini Imerese. Sono i dipendenti del gruppo della grande distribuzione alimentare Aligrup, concessionario Despar per la Sicilia orientale, sullorlo del fallimento con debiti per 150 milioni di euro. Tra slogan, striscioni e fischietti spiccava un cartello con la scritta: «Turi Scuto vergogna, vogliamo i nostri soldi».
Salvatore Scuto, titolare dellazienda che per il 15 per cento è in amministrazione controllata, è il figlio dellimprenditore Sebastiano Scuto, per lungo tempo a capo dellimpero di famiglia e condannato in primo grado nel 2010 per associazione mafiosa. Secondo la procura di Catania, Scuto avrebbe avvantaggiato nello specifico il clan Laudani. Rapporto non confermato dai giudici di primo grado che però hanno comunque emesso una condanna a 4 anni e 8 mesi di carcere. Una storia, quella dellazienda Scuto, da cui non solo dipende adesso il futuro di circa cinquemila lavoratori contando anche lindotto, ma che ha segnato la storia di Catania, essendo stata al centro di numerosi intrecci politici e giudiziari. A cominciare dal cosiddetto secondo caso Catania.
Dallarresto di Scuto nel 2001 alla condanna in primo grado ci sono voluti nove anni, ma si è corso il rischio di non celebrare affatto il processo. Nel 2001 infatti la procura catanese aveva chiesto larchiviazione per il re siciliano della grande distribuzione, respinta dal gip. Linchiesta venne quindi avocata dalla procura generale etnea che rilevò «inerzia e mala gestio» nelle indagini dei magistrati. Secondo laccusa, lintermediario tra Scuto e Cosa Nostra era Carmelo Rizzo, curatore degli affari del clan Laudani. Lo stesso Rizzo da cui il magistrato Giuseppe Gennaro, al centro del caso Catania, aveva comprato casa secondo i colleghi che avevano sporto denuncia al Csm. Dopo larresto, il gruppo Aligrup rimane per nove anni in amministrazione controllata. Solo nel 2010 l85 per cento delle quote vengono restituite alla famiglia Scuto, mentre il restante 15 per cento viene confiscato. È in questo arco temporale che lazienda, in mano allo Stato, priva dei canali preferenziali di cui aveva goduto, si indebita fino alla cifra attuale di 150 milioni di euro.
La messa in liquidazione e la ricerca di nuovi acquirenti sono le immediate conseguenze. Oggi la sezione fallimentare del tribunale di Catania deciderà sul futuro dellazienda. La strada più probabile è quella del concordato preventivo che darebbe altri 60 giorni per presentare un nuovo piano di ristrutturazione del debito. Nel frattempo le trattative sono andate avanti. Per sette mesi il principale acquirente potenziale è stata la Coop Sicilia che ha proposto di rilevare 22 punti vendita sui 52 totali, dando così un futuro a circa mille lavoratori. A settembre, con il rinvio della sentenza del Tribunale, c’è stato il passo indietro a cui è seguito un balletto di voci che non ha fatto altro che irretire i lavoratori che si sentono presi in giro.
Lultimo annuncio dellazienda, di qualche giorno fa, riguarda il possibile interessamento di un compratore per 27 supermercati. «La verità spiega Angelo Villari, segretario generale della Cgil Catania è che in questa storia manca la chiarezza da parte di tutti: proprietà, compratori e istituzioni». Tra i gruppi imprenditoriali che si sono fatti avanti ci sono Arena, Abate, Ergon, Leone, Conad e Cds, ma fattivamente solo Arena ha rilevato quattro punti vendita e riassorbito 150 lavoratori. I sindacati temono che la trattativa finisca in uno spezzatino difficile da gestire. Per questo, da una settimana, sette lavoratori hanno occupato il tetto del Centro Sicilia, l’ipermercato di Misterbianco, e sono in sciopero della fame. Mentre ieri, a 24 ore dalla sentenza del tribunale, hanno risposto in tanti allappello di Cgil, Cisl, Uil e Ugl. «Se i compratori pensano di potersi spartire i resti di un cadavere noi lo impediremo», conclude Villari.
Aggiornamento: stamattina è arrivata la decisione della sezione fallimentare del Tribunale di Catania che ha accolto la richiesta di ammissibilità al concordato preventivo libero avanzata dall’Aligrup.
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