Un’emorragia cerebrale, il naso rotto e una lesione sul labbro. Sono solo alcuni dei dettagli emersi dall’autopsia fatta sul cadavere di Aldo Naro, il giovane medico ucciso la sera del 14 febbraio 2015 nella discoteca Goa. Cadavere del quale la stessa famiglia Naro ha voluto rendere pubbliche, nel 2018, alcune immagini, diffuse sulla pagina Facebook intitolata alla memoria del ragazzo. Con l’intento non di scioccare ma di mostrare, mettendo l’utente direttamente davanti a quel corpo, che Aldo Naro non sarebbe morto per un solo calcio fatale, sferrato da un unico responsabile. Tesi sposata dalla Procura di Palermo, ma mai condivisa appunto dalla famiglia.
A ripercorrere quanto emerso da quell’esame autoptico è stato, questa mattina, il professore Paolo Procaccianti, primario di Medicina legale del Policlinico, che oggi ha risposto alle domande dei legali della famiglia Naro, gli avvocati Antonio e Salvo Falzone. «Lesione abrasocontusiva, regione anterolaterale, soffusioni, afferramento»: sembra quasi che il medico stia leggendo direttamente il referto dell’epoca, e invece persino il suo spiegare a voce non riesce a discostarsi mai dalla terminologia più tecnica tipica della materia, costringendo gli avvocati a domande sempre più dirette e serrate, che tentano di fugare le tante zone oscure di questa morte. Ottenendo però scarsi risultati.
Tutte le lesioni riscontrate sul corpo di Aldo Naro, ad esempio, sono compatibili con un solo ipotetico colpo inferto? «È stato attinto sicuramente da un colpo alla regione temporale sinistra – risponde il professore Procaccianti -, perché sotto abbiamo trovato quell’emorragia di entità elevata, il colpo quindi a sua volta è stato di entità elevata. Le soffusioni (vale a dire la presenza di liquido corporeo in un tessuto, ndr) al collo, che potevano nascondere magari un afferramento, invece fanno rilevare una piccola soffusione emorragica. Piccole cose a dimostrazione che quei colpi in quelle regioni non sono stati di notevole entità. Questo non significa che lì non sia stato attinto da colpi, come per esempio sul dorso del naso». Che, referti dei consulenti alla mano, è rotto, anche se il medico, rispondendo alle domande, non lo precisa mai. Sembra, insomma, che sulla base dell’analisi non si possa parlare di un solo unico colpo, quello di cui si è sempre detto, il calcio fatale di cui si è autoaccusato Andrea Balsano, il buttafuori abusivo dello Zen all’epoca minorenne che si è autoaccusato della morte di Aldo Naro, condannato a dieci anni. Scenario che, in effetti, non sarebbe coerente col quadro ipotizzato dalla Procura, che nei diversi filoni processuali scaturiti dall’inchiesta sulla morte del giovane medico ha sempre parlato di una rissa.
È questo, infatti, il reato contestato in più di un procedimento penale. In quello attualmente in corso di fronte al giudice Ottavio Ziino viene contestato a due dei tre imputati, Francesco Troia e Antonio Basile, mentre Massimo Barbaro, titolare della discoteca, deve rispondere di favoreggiamento personale. «Se guardiamo il cadavere dall’esterno, sono di lievissima entità – torna a dire il professore -, anche quella al cranio nella regione temporale sinistra è una lesione che, vista così, appare di poco conto, ma sappiamo che è stata proprio quella responsabile dell’emorragia subaracnoidea». Ma, più precisamente, gli avvocati vogliono sapere se queste lesioni possono essere il frutto di più traumi a un soggetto in stato di incoscienza. «Per stato di incoscienza immagino un soggetto steso per terra – specifica il professore Procaccianti -, la lesione al naso sembra più da colpo diretto vis-à-vis e non inferto dall’alto al basso, quelle al collo o al braccio sono da afferramento. Non è stata rilevata nessuna frattura al cranio. Non c’è sempre corrispondenza fra una lesione e una frattura cranica. Qui è successo che il cranio non si è fratturato, se fosse successo magari la forza viva (del colpo, ndr) si sarebbe potuta scaricare e non determinare lesioni gravi».
Quelle che invece si manifestano quando la forza del colpo inferto contro qualcuno penetra senza scaricarsi, causando danni cerebrali. Tutti questi traumi possono aver, quindi, concorso alla morte di Aldo Naro? «No», è tuttavia la risposta secca del professore. Eppure, continuando a raccontare quanto emerso da quell’esame autoptico, lui stesso parla anche di una contusione a un polmone, che potrebbe verosimilmente aver sbattuto contro la gabbia toracica o la colonna vertebrale, a causa di un colpo ricevuto. Malgrado, il professore lo dice più volte, a un sommario sguardo esterno del cadavere non si veda alcuna lesione esterna.
Nel 2017 la famiglia ha presentato una denuncia per omicidio volontario contro ignoti. La Procura per ben due volte ha chiesto l’archiviazione, alla quale i legali di parte civile si sono sempre opposti, chiedendo al contrario la prosecuzione delle indagini. Istanza accolta pochi mesi fa dal gip. Che ha iscritto nel registro degli indagati tre nomi: quello di Pietro Covello, quella sera al Goa presente nelle vesti di buttafuori abusivo e tra i condannati di febbraio 2019, e i due buttafuori regolari Francesco Troia e Gabriele Citarella. Quest’ultimo, tra le altre cose, sentito come testimone anche nel procedimento in corso con rito ordinario, durante il quale in aula ha dichiarato di aver colpito anche lui Aldo Naro. Dando praticamente una dichiarazione autoindiziante, come si dice in gergo, che però non ha sortito alcuna conseguenza. Fino ad ora infatti nessuno aveva pensato di indagarlo. Fatta eccezione, appunto, per la famiglia e gli avvocati, che da tempo segnalavano la presenza di più elementi utili per imboccare questa strada.
Il professore Procaccianti, tuttavia, non fuga mai del tutto i dubbi con le sue risposte. Non dice mai, cioè, in maniera chiara ed esplicita che a portare alla morte del giovane medico potrebbero essere stati più colpi, sferrati presumibilmente da più persone, in linea con quanto ipotizzato dalla famiglia. I cui periti di parte, per sostenere la tesi che sia morto per più colpi sferrati da più soggetti, hanno chiesto di poter visionare la Tac del cranio fatta durante l’autopsia, per avere una conferma. Un esame però introvabile, assente nel fascicolo della Procura e anche negli archivi dell’ospedale. Che fine ha fatto? «Quella tac fu fatta la sera, perché c’era meno gente – spiega il professore -, è una cosa strategica. Fu eseguita dal dottor Lo Re, lui mi aveva descritto tutto e ho guardato anche le immagini, mi ha detto che me lo avrebbe dato questo dischetto, poi ha fatto una lettera alla Procura dicendo che c’era stato un guasto nel computer e non c’era più niente. Io non avevo una copia, mi sono limitato a copiare il referto. Il radiologo mi disse di questa lesione subaracnoidea e che non c’erano altre lesioni significative nel corpo».
Tesi, questa, non condivisa dai periti di parte nominati dalla famiglia Naro, che nella loro consulenza presentata per opporsi all’archiviazione della Procura, sostengono l’opposto. Cioè che le immagini di quell’ispezione cadaverica parlerebbero chiaro e restituirebbero il ritratto di «un corpo massacrato». Un corpo che, secondo loro, non è possibile che si sia ridotto in quelle precise condizioni, fino a portare Aldo alla morte, solamente con un calcio.
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