A Natale si sa, il cinema offre filmetti da puro intrattenimento per famiglie e ragazzini, mentre per le pellicole di maggior spessore bisogna attendere gennaio. Come i saldi. Tuttavia, qualora si decidesse di trascorrere due orette spensierate a dispetto dei problemi quotidiani che in questo periodo di festa si vogliono rinnegare o semplicemente posticipare, ecco, anche in questo caso, la scelta di andare a vedere questo film non è raccomandata.
Il film si snoda in diverse storie che a tratti riflettono le vere identità del trio con protagonisti che portano i loro reali nomi e che li vedono tra qualche anno con prole al seguito. Le vicende sono separate tra loro in quattro capitoli diversi, ognuno col proprio titolo e da filo conduttore dovrebbe fare la cornice: i tre in versione orientale alla ricerca del senso della vita. Effettivamente questa scelta appare priva di senso, perché manca qualunque filo logico che leghi i diversi episodi e risulta pure di cattivo gusto, sfiorando l’offesa a quattro anni dalla tragedia delle isole del Pacifico colpite dallo tsunami. Il maestro Tsu Nam (ispirato a Shifu di Kung Fu Panda) che a suon di gong fa fuori un’allegra famigliola inerme sotto le furie di valanghe di neve e lava non è una visiona felicissima, né nuova (ricorda i famosi rutti di fantozziana memoria degli anni ’70) né tantomeno comica.
Il primo capitolo, dal titolo “Milano Beach”, rivela palesemente delle eco verdoniane (il mitico Furio di Bianco, rosso e verdone) e nemmeno riuscitissime, con Giovanni dal capello fulvo e l’aspetto di un orsetto lavatore che è il tipizzato milanese pedante. Il secondo,“L’autobus del peccato”, ovvero quello che porterebbe ogni infedele all’inferno, presenta un sacrestano furbetto che riesce a strappare qualche risata, anch’egli interpretato da Giovanni che del trio comico risalta (anche in una metamorfosi di pelle, nei panni del santone nero in attacco alla medicina alternativa). Il terzo è breve e computerizzato; il titolo “I falsi prigionieri” fa riferimento agli inquilini secolari dei ritratti che in questo sketch di richiamo potteriano prendono vita (con un omaggio a Jean Claude di Mai dire Martedì, interpretato ovviamente dal regista). Infine l’ultimo dal titolo “Temperatura basale” affronta il dilemma dell’impotenza maschile e lo risolve con un epilogo, a mio avviso troppo cinico e amaro, nei cassonetti dell’immondizia!
Non ci sono scene esilaranti, qualche sogghigno scappa in sala tra il pubblico ma nulla a confronto dei tempi d’oro di Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti in Tre uomini e una gamba o Così è la vita per esempio. Sembra di assistere ad un lavoretto, non guidato da alcuna ispirazione artistica ma piuttosto da esigenze e scadenze commerciali, per la necessità di uscire a Natale, in compagnia degli altri classici cinepanettoni ambientati in località esotiche. O comunque per far rientrare i tre comici in carreggiata dopo la prolungata assenza dal grande schermo (dai tempi di Tu la conosci Claudia?, 2004). Da segnalare invece è il personaggio della stravagante ginecologa Gastani Frinzi, reso dalla brava Angela Finocchiaro e l’ottima regia della new entry Marcello Cesena (il comico-regista, ex Broncoviz, conosciuto soprattutto per la serie/parodia Sensualità a Corte, dove interpreta il ruolo del baronetto Jean Claude) che si rivela competente soprattutto nei buoni movimenti della macchina da presa.
Insomma, la vecchia comicità cinematografica del terzetto, indebolitasi nel tempo, adesso si è decisamente esaurita: episodi banalissimi, gag prevedibili in un cinema che aspira ad essere comico-surreale. Ma che finisce per essere irrealmente banale, ovvero da non crederci!
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