Al teatro Massimo la giornata dell’orgoglio nigeriano «Non siamo tutti mafiosi, questa ora è la nostra terra»

«I mafiosi ci sono ma non siamo tutti mafiosi. Siamo venuti in pace». Pastore Nelson, che fa parte della comunità evangelica e dell’associazione dei nigeriani a Palermo, distribuisce larghi sorrisi e ripete sempre le stesse parole. Dopo gli ultimi arresti del gruppo criminale Eiye, sono in tanti gli africani – che abitano soprattutto a Ballarò, il quartiere più multietnico della città – che hanno scelto di ribellarsi all’associazione nigeriani=mafia. Così, dopo la conferenza stampa dello scorso 8 aprile presso la chiesa di san Giovanni degli Eremiti, hanno organizzato un sit-in davanti il teatro Massimo.

Un segnale importante, specie perché arriva da coloro che vivono nel quartiere dove i gruppi Black Axe e Eiye si contendevano i traffici di prostituzione e droga tra riti voodoo, culti e violenze efferate. Soprattutto perché hanno fatto parte del corteo anche le donne dell’associazione Benin City, ex vittime di tratta che hanno saputo ribellarsi ai propri aguzzini. «Abbiamo scelto di scendere in piazza oggi perché purtroppo qui in Italia c’è un odio generalizzato verso gli africani e verso i nigeriani nello specifico – dice Samsom Olum, che fa parte della comunità nigeriana – anche per via della mafia nigeriana. Qualche giorno fa sono stati eseguiti 13 arresti. Ma questo non vuol dire che tutti i nigeriani allora sono mafiosi. Noi non siamo Eiye, non siamo Black Axe, non siamo Vikings o qualunque nome che si danno. Noi vogliamo vivere bene, vogliamo collaborare con voi. Tanti di noi hanno attraversato il deserto e il mare per arrivare fin qui. Vogliamo vivere in pace a Palermo, siamo pronti a collaborare per lottare contro chi spaccia, contro i trafficanti e gli oppressori. Noi li condanniamo, perché questa oggi è la nostra terra, questa oggi è la nostra casa».

Insieme alla comunità nigeriana anche il supporto di tanti e tante italiane. A partire dai giovani attivisti del centro Pio La Torre. «Ci siamo sempre impegnati per stare dalla parte di chi ne ha bisogno – dice Flavio Lombardo – Non bisogna generalizzare, e questo è un rischio molto forte in un caso del genere. Bisogna invece entrare nello specifico delle questioni, e non lasciare sole le persone. Investendo sulla formazione, soprattutto dei giovani ma non solo. I primi a subire l’associazione generalizzata con la mafia siamo stati noi siciliani. Certamente siamo di fronte a un fenomeno diverso rispetto a 25 anni fa, e si vede nella trasformazione di una certa parte di città. Mentre in altri quartieri il problema persiste, e va risolto sia in maniera collegiale sia singolarmente. Spetta al singolo cittadino, infatti, spendersi in prima persona e far sentire la propria voce alla massa generalizzata che giudica in maniera troppo frettolosa».

Tra i presenti anche il sindaco Leoluca Orlando, che ha voluto manifestare la propria vicinanza a quella che ha definita la giornata dell’orgoglio nigeriana. «La manifestazione di oggi – ha commentato – è la conferma che c’è una Palermo che vuole crescere e cambiare anche attraverso le comunità presenti sul territorio. Oggi, si è detto chiaramente no alle mafie ed è bello assistere a questo processo di trasformazione a difesa dei diritti di tutti e di ciascuno, in continuità con la Carta di Palermo, cosi come è bello vedere commercianti bengalesi che fanno arrestare criminali palermitani, come è bello vedere palermitani e nigeriani che dicono no alla mafia nigeriana. Per questo ringrazio la comunità nigeriana palermitana per questa iniziativa». 

E al sit-in pacifico c’era anche la missione Speranza e Carità di Palermo, rappresentata dai coniugi Riccardo Rossi e Barbara Occhipinti, che in città ospita da anni oltre mille persone bisognose, soprattutto migranti. «Attenzione, nei nigeriani c’è tanto bene, tante persone giuste e c’è anche il male – ha commentato frate Biagio Conte – Il giudizio non aiuta, anzi demolisce, penalizza. Rispondiamo al male con il bene, cioè con le opere buone e la preghiera, in modo che anche il male possa convertirsi al bene».

Andrea Turco

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