Il tifoso del Palermo abbraccia la sua squadra in un unico luogo e in unico tempo. La domenica allo stadio, oltrepassando i cancelli di Viale del Fante. È poco interessato alla protesi da stadio, il salotto di casa, anche se in alcune zone popolari di Palermo ci sono più parabole che case sdirupate. Ci ricorre quando non ne può fare a meno. Gli tocca di sopportare le “ingiurie” dei cronisti che «ci tirano i piedi a noi, dottore», come dice sempre il barista che mi fa il caffè il lunedì, quando ancora non si è spento il sapore dell’ultima beffa o della grande prodezza.
Tra talismani e riti scaramantici il palermitano respira l’aria asciutta della curva, incorona i suoi idoli nella dimensione sempre integra e mai messa in discussione della fede calcistica. Abita la curva nord con religiosa scaramanzia. Solo nella vigilia di una partita di calcio si coltivano le grandi malinconie, il silenzio e la solitudine necessaria, si condensano le aspettative, montano i dubbi. L’eroe della domenica, quello che ci fa saltare e buttare voci, nasce solo davanti all’armadietto dello spogliatoio o nel tunnel prima che arrivino le telecamere. La tensione si scioglie solo al fischio d’inizio.
Nella prosa che raccontava il calcio di ieri, il gioco era “arioso”, i terzini “sfrecciavano”, ci si tuffava in corner, il mediano era un podista generoso, il portiere un lavoratore dei pali, onesto e spesso timido che soffriva la solitudine o l’assedio. Oggi il calcio è ritmo e velocità, la televisione racconta i numeri, gli esterni sono bassi o alti e il portiere un guascone sempre allertato. Stefano Sorrentino, custode dei pali del Palermo, ad esempio, era un portiere molto più aggressivo e portato per i “miracoli” rispetto al padre, che parò nel Catania dal 1979 al 1984. La virtù della pedata rimane un dogma imperscrutabile per la moglie che non si appassiona come il marito che vede saltare in aria, rimbalzando sul divano, per quei pupiddi che corrono in mutande, strapagati, dietro una palla. Il regista è una rarità. Il Palermo di Zamparini, ad esempio, ne ha avuto di importanti da Corini a Liverani, da Donati a Maresca. Come trequartisti, da Pastore a Franco Vazquez, e giocatori di genio e talento da Cavani e Dybala.
In undici anni il Palermo è stato dieci anni in serie A con un solo anno di “Purgatorio” in B. «Non possiamo che vivere di plusvalenze», raccontava Zamparini un anno fa a un giornalista che gli faceva i conti in tasca tra acquisti e cessioni. Compra a dieci e vende a cento, secondo una regola antica del commercio e della putìa. Un calciatore per dormire tranquillo alla vigilia di una partita non deve abbondare in coscienza a posto, ma sentire nelle gambe la reattività dei muscoli pronta ad esplodere. Il Dio della palla rende storto tutto quello che appare semplice, diritto e lineare. Cancella l’attesa e racconta la menzogna. I tifosi del Palermo contano legni, pali e traverse. Preferiscono l’azione brutta che porta al gol a quella di spettacolo che lascia a bocca asciutta. I “dannati” delle statistiche annotano rigori non concessi e gol fatti e presi all’ultimo minuto.
Oggi la “zona Cesarini” è uno schema che si prepara alla lavagna negli allenamenti della settimana. Un giocatore che risolve una partita può apparire persino egoista e meschino, ma deve essere affamato di gol e di vittorie. I buoni ed i giusti non affollano sempre le classifiche dei marcatori. La parabola del tempo nella giornata rosanero è un divenire di 90 minuti. A proposito, dalle nostre parti oggi c’è Palermo-Chievo. Che lo spettacolo abbia inizio.
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