Ahmadinejad, gli Usa e l’Iran che non si vede «L’Occidente sottovaluta il mondo islamico»

Nonostante i media occidentali abbiano cercato di far credere che il presidente iraniano uscente, Mahmoud Ahmadinejad, sia stato odiato dagli iraniani tanto quanto dal resto del mondo, è un dato di fatto che invece è stato molto amato. Gli iraniani hanno visto in lui l’unico successore degno dell’ayatollah Khomeini; l’unico che abbia avuto il suo stesso carisma, l’unico che abbia opposto resistenza alle pressioni americane, francesi e inglesi che hanno cercato di ridurre l’Iran a un altro Iraq o Afghanistan.

A onor del vero bisogna dire che nei primi anni l’opinione pubblica iraniana lo ha molto criticato, a causa delle misure estreme intraprese in fatto di politica interna, soprattutto nella libertà personale dei giovani, libertà di stampa, le infinite condanne a morte, le violente repressioni delle rivolte studentesche. Ma da quando fu eletto presidente nel 2005 e rieletto nel 2009 – in entrambi i casi si denunciarono brogli – a questo agosto, le cose sono molto cambiate. Gli iraniani hanno fatto un bilancio in vista dell’insediamento del nuovo presidente Rohani, il cosiddetto “riformista diplomatico”. E Ahmadinejad ha meritato una serie di fiori rossi da mettere sulla sua agenda.

In un’interessante chiacchierata con M. che lavora nel quotidiano Iran, l’unico giornale interamente del governo, viene fuori che, diversamente da come M. stesso sosteneva nel 2009, Ahmadinejad ha fatto proprio un buon lavoro. Gli abitanti dei villaggi rurali e dei piccoli centri, le fasce deboli, sono riusciti a raggiungere le fasce medie, hanno un potere d’acquisto maggiore, hanno un sussidio mensile, i giovani vengono aiutati per l’acquisto della prima casa.

M. è d’accordo con il programma nucleare inaugurato da Ahmadinejad, alla luce del fatto che proprio quei paesi che criticano il programma nucleare iraniano, possiedono persino le bombe nucleari. Sono stati creati cinque nuovi stabilimenti di raffineria del greggio; a Tehran sono state costruite autostrade, ospedali e tunnel; sono state inaugurate le nuove autostrade Ghazvin-Rashd, Esfahan, Mashad, Tabriz e Hamedan. Il sistema scolastico è stato riformato, la scuola pubblica è diventata interamente gratuita.
M. rimprovera al suo Presidente solo l’embargo e l’inflazione che ha raggiunto il 25%, ma ne esalta lo stile di vita semplice, l’incorruttibilità e l’integrità.

In merito al dovere delle donne di rispettare l’hijab, M. dice che le donne iraniane escono molto più truccate e agghindate rispetto alle donne europee, che i giornali internazionali dovrebbero fare qualche servizio sui party privati che si tengono in Iran per capire che non tutto è come sembra. Lui lascia uscire sua moglie truccata, con le unghie laccate e con i capelli che escono fuori dal foulard; partecipa ai party misti, dove uomini e donne ballano insieme liberamente. Persino la musica non è più vietata, i cantanti iraniani che vivono in Iran sono diventati degni concorrenti dei loro connazionali che vivono in America e che diffondono le loro canzoni tramite i canali americani, possono anche tenere concerti pubblici.

Quando gli chiedo cosa ne pensa della vita difficile che hanno i giornalisti iraniani, M. mi guarda sorpreso e dice: “Dove hai mai visto tu che i giornalisti e gli oppositori possono tranquillamente mandare a puttane un governo? Lo hai visto in America? E cosa mi dice di Assange? Perché tutto il mondo lo perseguita? La democrazia non esiste, l’uomo non è fatto per essere totalmente libero, ha sempre bisogno di qualcuno che gli dica cosa fare. Sia esso Maometto, Cristo, Obama o Ahmadinejad!”.

M. sostiene che l’Iran non ha così bisogno dell’Occidente come tutti credono; che l’Occidente continua a sottovalutare il mondo islamico che nel frattempo si sta coalizzando e fortificando sempre di più. L’Iran aiuta finanziariamente Libano e Siria per avere il loro appoggio nel caso di un conflitto con Israele; ha migliorato e intensificato i rapporti con Cina e Russia; persino in Iraq e in Afghanistan, dove l’America crede di avere un potere assoluto, si deve tenere conto che i presidenti Karzai e Talabani sono sciiti e vicini all’Iran. Se l’Iran non avesse fatto così, Inghilterra, Francia, Germania e Stati Uniti avrebbero già cercato di distruggere e colonizzarlo come hanno fatto in Iraq e in Afghanistan.

M. mi chiede cosa ne pensi io di quello che ha fatto l’America in Afghanistan e in Iraq. Io penso che se l’America avesse “esportato” anche solo un quarto della democrazia che si era ripromessa di esportare, io non avrei lavorato così tanto come interprete degli Afghani che scappano in Italia dal loro Paese. Penso che Mohammad, un uomo afghano di 35 anni e padre di due figli, non sarebbe stato costretto – dopo essere stato nelle ambasciate afghane d’Italia e Francia ed essersi sentito dire che non avevano materialmente passaporti afghani da poter dare ai cittadini afghani – ad andare in Iran per rivedere i suoi figli attraversando clandestinamente il confine Afghanistan- Iran. Penso che gli afghani ancora oggi non sanno se preferiscono morire per mano dei talebani o per mano degli occidentali.

Penso che se l’America avesse riconsegnato le chiavi del paese in mano agli iracheni come si era ripromessa, dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003 non si sarebbero contati oltre 70.000 morti. Penso che né l’Iran, né l’America abbiano interesse che l’Iraq torni ad essere una potenza regionale. Penso che i bambini iracheni dovrebbero avere una qualità di vita superiore e vedere i diritti fondamentali rispettati e non che queste due cose abbiano invece valori molto più bassi adesso rispetto a quando vi era Saddam Hussein.

Penso che non sia un caso che l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti sia coincisa proprio con una questione di fondamentale importanza, e cioè con l’annuncio da parte dell’OPEC di voler acquistare il petrolio grezzo in euro anziché in dollari, determinando così un collasso dell’economia americana, e con l’annuncio di Iraq, Iran e Corea del Nord di aver effettuato il passaggio alla valuta europea per il commercio. Infatti subito dopo l’invasione irakena, il programma Oil for Food viene bloccato e le riserve irakene riconvertite in dollari. Penso che non sia neanche un caso che l’Italia sia intervenuta in Iraq proprio quando l’Eni è stata esclusa dalle imprese che potevano partecipare alla ricostruzione irakena.

Leggi il post sul blog Roozegar di Sanaz Alishahi.

[Foto di Tehran]

Redazione

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