Più di 14mila terreni in Sicilia sono in mano a persone condannate in via definitiva. Anche per fatti di mafia. È il dato allarmante che emerge dal quarto rapporto sulle agromafie prodotto da Coldiretti, in collaborazione con Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura. Stando ai dati divulgati, nel 2015, a livello nazionale, le organizzazioni criminali hanno avuto nel settore dell’agroalimentare un business da oltre 16 miliardi di euro .
I reati commessi vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso alle truffe, passando per l’estorsione, il porto illegale di armi da fuoco, il riciclaggio e la contraffazione di marchi. Tanti, poi, sono i casi di intimidazione nei confronti di esercizi commerciali, costretti a vendere determinate marche e prodotti. A volte – si legge nel rapporto – «approfittando della crisi economica» i gruppi criminali arrivano a rilevare direttamente le attività commerciali. A risentire maggiormente di tale situazione è l’imprenditoria onesta, ma anche la qualità e la sicurezza dei prodotti. L’effetto indiretto, infatti, è quello di «minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio made in Italy». Secondo la Direzione investigativa antimafia, inoltre, le infiltrazioni della malavita nell’indotto agroalimentare – che si manifestano tramite regimi di monopolio e ingerenze nelle attività di intermediazione e trasporto – causano «la lievitazione dei prezzi di frutta e verdura fino a quattro volte nella filiera che va dal produttore al consumatore».
A dare una misura dell’inquinamento mafioso dei vari territori è l’Indice di organizzazione criminale (Ioc), che si fonda su 29 indicatori specifici, che tengono in considerazione le caratteristiche intrinseche alla provincia stessa e di conseguenza sia gli eventi criminali denunciati che i fattori economici e sociali. In base allo Ioc, la provincia siciliana più condizionata dall’attività della criminalità organizzata in tutta Italia è Ragusa con un punteggio di 100. Situazioni complicate anche negli altri capoluoghi dell’Isola a partire da Caltanissetta (69,4), Catania (57,5), Siracusa (49,2), ed Enna (48,4). Palermo, Trapani e Agrigento, hanno invece un indice rispettivamente di 47,5, 45,3 e 43,4. La provincia siciliana con meno infiltrazioni è Messina con un punteggio di 40,6.
Secondo Coldiretti, ad aggravare il quadro generale è anche la gestione dei beni confiscati. Caratterizzata da inadempienze e lentezze burocratiche. «Il processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa – si legge nel rapporto – si presenta lungo e confuso, spesso non efficace e sono numerosi i casi in cui i controlli hanno rilevato che alcuni beni, anche confiscati definitivamente, sono di fatto ancora nella disponibilità dei soggetti mafiosi». Senza contare che i criminali che non vengono sgomberati dagli immobili sequestrati «godono persino del vantaggio di non dover pagare le tasse» sugli stessi. Se tali beni venissero gestiti in maniera proficua, secondo i promotori della ricerca, il settore agroalimentare avrebbe un aumento di introiti che andrebbero tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Il mancato utilizzo, invece, dà la possibilità ai gruppi criminali di comunicare «all’esterno il permanere del loro controllo sul territorio».
Passando alle frodi, i settori più colpiti sono quelli della ristorazione, della carne e delle farine. Che, nel 2015, hanno registrato più della metà dei sequestri di prodotti alimentari. Seguiti dal settore vinicolo e caseario. Le truffe, infine, possono arrivare anche dalla rete: «Quasi un italiano su cinque acquista prodotti alimentari on line, con un dato più che raddoppiato rispetto al 2015. Acquistando beni alimentari su Internet – avvertono i ricercatori – il rischio maggiore è quello di incorrere in prodotti di bassa qualità».
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