I RENZIANI SICILIANI ‘CONQUISTANO’ IL COMUNE DELLA CITTA’ DEI TEMPLI CON L’UNICA COSA IN CUI SEMBRANO INSUPERABILI MAESTRI: IL TRASFORMISMO POLITICO. CON LA LA MERDA CHE GALLEGGIA NEL MARE DI SAN LEONE ASPETTANDO IL GODOT-DEPURATORE…
Ragazzi, ci vuole un po’ di senso della storia e, perché no?, anche un po’ di senso della misura. Commentare, oggi, la giunta comunale di Agrigento come un grande ‘evento’ politico solo perché sarebbe un monocolore di Sinistra è quasi comico!
In primo luogo, perché il Partito Democratico, oggi, è tutto fuorché un Partito di Sinistra.
In secondo luogo, perché il fatto che l’attuale Sindaco della Città dei Templi, Marco Zambuto – persona degnissima ma di idee politiche molto cangevoli – dopo essersi fatto il classico giro delle ‘Sette chiese’ della politica sia approdato al PD significa poco o nulla.
Anzi, se proprio la vogliamo dire tutta, significa meno di nulla, considerato che Zambuto è arrivato al Partito Democratico tramite l’area che fa capo a Matteo Renzi, un personaggio che di Sinistra non ha nulla e che, invece, di doroteismo democristiano ha tanto, ma proprio tanto.
Insomma ‘festeggiare’ come uomo di Sinistra l’attuale Sindaco di Agrigento che è stato vicino prima nell’Udc di Totò Cuffaro e poi nel Pdl di Angelino Alfano è un’offesa alla Sinistra.
Tra l’altro – questo detto per inciso – i renziani di Sicilia sono diventati il ricettacolo ‘ideale’ di tutti i trasformismi politici di un’Isola dove il trasformismo politico è di casa.
Qualcuno, per celebrare il nuovo cambio di casacca del Sindaco Zambuto, ha scomodato, addirittura, Monsignor Peruzzo, il grande vescovo di Agrigento degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Il prelato che, al pari del Cardinale Ernesto Ruffini – in quegli anni ai vertici della Chiesa siciliana – si opponeva all’apertura della Dc ai socialisti.
Il paragone, a nostro modesto avviso, è sbagliato. Se proprio dobbiamo fare un parrallellismo, a noi la politica agrigentina dei nostri giorni ricorda, invece, un romanzo di uno dei più grandi scrittori e drammaturghi di tutti i tempi, agrigentino fino al midollo: Luigi Pirandello. E ci ricorda, in particolare, forse l’unico romanzo di questo grandissimo artista in cui i tempi psicologici lasciano spazio ai temi sociali dell’Italia post unificazione e della sua terra: ‘I vecchi e i giovani’.
A noi tutto quello che di bassa politica sta succedendo in questi giorni ad Agrigento e in Italia – perché quella di oggi è bassa politica: altro che Monsignor Peruzzo! – ricorda certe atmosfere descritte in modo magistrale da Pirandello in questo straordinario romanzo. Dove a primeggiare – come, del resto, nei ‘Vicerè’ di Federico De Roberto – è proprio il trasformismo politico.
Diciamo questo non sulla base di astrazioni letterarie, ma di fatti concreti. Pirandello, nel suo romanzo, con estrema lucidità, mette in luce le contraddizioni dei ‘progressiti’ di quegli anni. Celebre il poveraccio che si reca nella sede di quelli che avrebbero dovuto essere i ‘progressiti’ chiEdendo: “E’ qui che danno la terra ai contadini?”.
Dei ‘grandi valori’. giustamente, la povera gente dell’epoca coglieva gli aspetti essenziali. Con richieste precise e stringenti. Alle quali la politica dell’epoca non aveva, non poteva o non voleva dare risposte.
La stessa cosa, proprio ad Agrigento, avviene oggi.
La gente vorrebbe la città pulita. Ma ha l’immondizia per le strade. La gente vorrebbe il mare pulito. Ma la merda e i topi galleggiano nel mare di San Leone, proprio perché l’amministrazione comunale – come la politica ai tempi di Pirandello – non ha, non può o non vuole dare risposte concrete.
Il resto sono chiacchiere che lasciano il tempo che trovano.
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